Processo per i disordini a San Matteo

Disposta la citazione a giudizio per quattro portatori e sedici persone che erano tra la folla. A ottobre la prima udienza

I fischi, le grida, le giravolte delle paranze nei luoghi di camorra e l’ingresso nell’atrio del Comune, in spregio al “no” dell’arcivescovo: il caos dell’ultima processione di San Matteo finirà tutto in un’aula di Tribunale, davanti al giudice Cristina De Luca che il prossimo ottobre darà il via al processo. Il sostituto procuratore Francesca Fittipaldi ha firmato il decreto di citazione diretta a giudizio per quattro portatori e altre sedici persone, individuate tra quelle che dalla folla avrebbero accolto il passaggio dell’arcivescovo con fischi e insulti. Due i capi d’imputazione: vilipendio di un ministro del culto e turbamento di funzione religiosa; e se per il primo reato è prevista solo una multa, per il secondo la pena può andare fino a tre anni. Ma l’impianto accusatorio va anche altre oltre, perché secondo gli inquirenti i tre che guidavano la statua di San Matteo (il capo paranza Raffaele Amoroso, il vice Consolato Esposito e il cotimoniere Domenico Alfieri) avrebbero preso con la forza le redini del corteo non solo per amore della tradizione popolare, ma per continuare a omaggiare con le “girate” delle paranze gli esponenti della famiglia Grimaldi uccisi nella guerra di camorra. Avrebbero questa matrice, secondo una ricostruzione avallata dal procuratore capo Corrado Lembo, la sosta a piazza Portanova (dove fu assassinato nel 1996 Berardino Grimaldi), quella di fronte al chiosco sul Lungomare (gestito dai Grimaldi e poco distante dal luogo dell’omicidio, nel 2002, del “vampiro” Lucio) e l’altra in direzione di via Arce, che conduce al circolo di Porta Rotese dove fu trucidato nel 1998 Lucio Esposito, padre del paranziere Consolato. Poi ci sono le altre fermate che la Curia aveva vietato (in attuazione delle regole di sobrietà varate dalla Conferenza episcopale campana) e che i paranzieri hanno invece imposto: al Comune (dove furono trovate le porte aperte) al Comando della Guardia di Finanza a via Duomo, nel punto di via Roma dove fu trovato morto per un malore il capo paranza Matteo Alfieri, e a piazza Cavour, dove i portatori posarono le statue a terra minacciando di lasciarle lì se il “saluto al mare” non fosse stato permesso.

A prendere le redini della processione, oltre ai tre timonieri di San Matteo, sarebbe stato il capo paranza di San Giuseppe, Domenico Alfieri, accusato con gli altri di aver del tutto simulato di non sapere che le statue sarebbero state trovate nell’atrio del Duomo e non all’interno, per aizzare gli altri portatori e tradire l’accordo con l’arcivescovo. Per monsignor Luigi Moretti , che ora potrà costituirsi parte civile, il percorso fu una sorta di via Crucis, costellata di offese e cori da stadio, all’insegna di “scemo, scemo”, “vattene” e “Salerno siamo noi”. Dalle riprese televisive la Digos ha individuato i presunti responsabili in sedici persone che ora vanno a processo: Riccardo De Angelis, Palmerino Oliva, Maria Cristina Tortorella, Rossella Pullo, Gianluca Mutarelli, Mario Ferrara, Antonio Amati, Mario Barra, Maria Rosaria D’Agostino, Veronica D’Agostino, Glianluca Vitale, Giovanni Di Landri, Carlo Cuoco, Antonio Simone, Gerardo De Simone, Guglielmo Pagano. Alcuni sono già stati ascoltati a ottobre, ma le loro spiegazioni non hanno convinto il magistrato, che ha disposto il processo escludendo ogni possibilità di un proscioglimento in udienza preliminare.

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