«Prevalgono le logiche di potere»

Ravveduto: «Incattivimento civile». Apolito: «Manca rapporto col trascendente»

SALERNO. «Abbiamo perso tutti: la città, il vescovo e i portatori». Non ha dubbi il docente universitario di Antropologia culturale, Paolo Apolito. Lo “spettacolo” della processione di San Matteo, l’ammutinamento delle paranze, e il tentativo dell’arcivescovo Luigi Moretti, di ritoccare una tradizione secolare, hanno ottenuto un unico e solo risultato: generare una Salerno lacerata. «San Matteo rappresenta – spiega Apolito – più che un rapporto della città con il trascendente, un legame della città con se stessa, con i simboli che contano, con la propria capacità di tenersi coesa».

E, perciò, intervenire su questi equilibri è molto delicato. «Probabilmente il vescovo, anche mal consigliato – argomenta l’antropologo – ha avuto un eccesso di dirigismo. Ma non si può guidare il popolo di Dio per decreti. Magari si possono ottenere effetti a breve termine, ma si rompe un meccanismo di rapporto con la propria storia». Anche perché, a detta di Apolito, le tradizioni religiose non sono nate da sole. «Il cerimoniale – evidenzia – non l’ha inventato il popolo, ma è stata la stessa Chiesa, nei secoli precedenti, ad utilizzare queste forme di religiosità popolare, per rafforzare il suo potere temporale. E, quindi, ha una responsabilità storica, che non può essere eliminata con un colpo di spugna». Anche i fischi al vescovo, nel momento della benedizione, hanno una loro spiegazione. «Il segno della croce ricorda la Trinità – rimarca Apolito – e non aver fatto questo gesto fa capire come dietro San Matteo non sia cresciuto un sentimento religioso, ma un sentimento di simbolismo di parte».

Spara a zero contro le paranze il sociologo e docente universitario Marcello Ravveduto. «Immaginavo – chiosa – che i portatori avessero potuto tenere questo atteggiamento fuori luogo, irrispettoso sia verso il vescovo che nei confronti della città. Sono diventati il simbolo di un “incattivimento civile”, che è elemento di barbarie di una città che non ha più rispetto per niente e per nessuno, tranne che per alcune logiche di potere. E, il giorno dopo, in particolar modo sui social network, tutti s’indignano ma, in concreto, nessuno fa niente».

E che ad uscire sconfitta sia stata solo la città ne è convinto anche lo storico Carmelo Currò, che affida la sua riflessione alla propria pagina Facebook. «I portatori – rimarca – sono stati interpreti di proteste su diritti che a loro non appartengono e su cui solo l’autorità ecclesiastica può decidere. A sua volta l’arcivescovo non ha forse compreso che Salerno non è città in cui si fa l’inchino ai camorristi, dove tre giri di statua su se stessa rappresentano un omaggio alla Santissima Trinità e non un rituale pagano».

Gaetano de Stefano

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