verso san matteo 2015

Portatori in prima fila in Duomo per accogliere don Michele

Se non fossero venuti gli ex parrocchiani di don Michele da Capezzano la cattedrale sarebbe rimasta vuota. Nessuno, infatti, ha voluto salutare don Antonio che se ne va. E questo la dice lunga

«Se non fossero venuti gli ex parrocchiani di don Michele da Capezzano la cattedrale sarebbe rimasta vuota. Nessuno, infatti, ha voluto salutare don Antonio che se ne va. E questo la dice lunga». A parlare è Raffaele Amoroso, capoparanza di San Matteo che ieri, al termine della santa messa di insediamento del nuovo parroco del Duomo – don Michele Pecoraro appunto – si è “sbottonato” più di quanto abbia fatto in un anno intero, da quello strappo col vescovo consumatosi lo scorso 21 settembre.

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Dopo aver preso parte alla celebrazione in compagnia di una esigua rappresentanza di portatori tutti arrivati con indosso le loro magliette “identificative”, Amoroso, a pochi passi dall’altare centrale della cattedrale, si è lasciato andare a qualche colorito commento che ha chiaramente fatto intendere quanto il rapporto con don Antonio Quaranta, parroco del Duomo per 14 anni ora trasferito alla Colonia San Giuseppe, si fosse logorato nel tempo fino a “scoppiare” dopo i fatti della scorsa processione. «Don Michele è un uomo del popolo e vicino al popolo – afferma poi Ciro Borsa, altro storico portatore – e con lui riusciremo sicuramente a creare un dialogo pacifico e fruttuoso fondato sulla comprensione e sul rispetto reciproco». Manco a finire la frase che don Michele appare da dietro un abside e sono abbracci e baci con i portatori, finanche una foto ricordo. Anche se qualche istante prima sempre Amoroso si era lasciato scappare: «Deve venire a salutare lui a noi, non il contrario. Noi non ci muoviamo da qui». E il nuovo parroco è andato. Basterà questo per “salvare” la festa di San Matteo dalla prevaricazione di alcuni? Si vedrà.

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Che in cattedrale iniziasse una nuova era con l’arrivo di don Michele è stato chiaro fin da subito e ieri, con il saluto alquanto informale che il nuovo parroco, dall’altare, ha voluto riservare alla sua nuova comunità – quel suo «Eccomi» e il tono colloquiale con cui si è rivolto alla platea di fedeli seduti tra i banchi, paragonata all’algida distanza da sempre mantenuta da don Antonio, ha fatto specie a molti – lo ha confermato. L’unico, però, a mantenere un tono sempre solenne, e a scegliere per la celebrazione un vangelo per nulla casuale, è stato l’arcivescovo di Salerno, monsignor Luigi Moretti.

“Io sono il buon pastore dice il Signore. Io conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me”, questo il versetto di Giovanni che ha ispirato l’omelia del capo della chiesa salernitana che, nel ringraziare don Antonio per il lavoro fatto in questi anni, ha spinto l’acceleratore sui concetti di “obbedienza” e “testimonianza”.

«Non è compito nostro salvare le “pecorelle” fuori dal recinto – ha affermato il prelato – il nostro compito è solo accompagnarle. Poi sarà Dio a toccare i cuori di queste persone e a farle diventare parte integrante della comunità, costruttori di comunione e testimoni di fede». Poi il monito a tutti i parrocchiani della cattedrale, portatori compresi quindi: «Questa è una comunità non di grandi numeri ma dalla grande responsabilità. Avere come chiesa di riferimento quella principale della città richiede una coscienza, una consapevolezza e un impegno ad essere sempre esemplari. Per questo, ricordando l’invito fatto dal papa, purifichiamo noi stessi in funzione di una conversione pastorale e missionaria». ©RIPRODUZIONE RISERVATA