Piazza di spaccio alla Lamia In undici a rischio processo 

Chiesto il giudizio per il gruppo che controllava i traffici illeciti nel quartiere Coinvolti anche “Tore ’o niro”, il braccio destro Pepe e il figlio di Peppe Saccone

Chiesto il processo per gli spacciatori del sistema della Lamia a Pagani: davanti al gup il prossimo 6 marzo compariranno Salvatore Di Maio, alias “Tore ’o niro”, nel ruolo di capo promotore dell’organizzazione, già contiguo al clan Fezza-Petrosino D’Auria, Vincenzo Pepe, suo braccio destro, coinvolto nell’operazione antidroga denominata Taurania Revenge, Alfonso Belluno, noto alle forze dell’ordine e parente del più noto Renato, Ciro Califano, pregiudicato, Ivan Pepe, con precedenti specifici, e Salvatore Olivieri, figlio del boss Peppe Saccone, Francesco Cacace, 23 anni, Giuliano Cacace, 49, Roberto Califano, 25, Francesco Martigiano, 61, e Carmine Ursolino, 22.
Secondo la ricostruzione della Dda, il gruppo gestiva la piazza di spaccio nel centro storico di Pagani, lungo via Matteotti, offrendo un servizio full time che riforniva i consumatori fino a notte fonda: loo scambio di droga in auto costituiva il momento della vendita al dettaglio, un servizio market andato avanti per anni. La procura antimafia contesta agli imputati il vincolo associativo, con l’esistenza di un sistema organizzato per l’attività di spaccio al cui interno erano ben individuati ruoli e meccanismi.
La richiesta di processo, presentata dai pm Luca Masini e Vincenzo Senatore, completa il lavoro svolto sul campo dai carabinieri della tenenza di Pagani, guidati dal tenente Simone Cannatelli, e dagli uomini del gruppo territoriale di Nocera Inferiore, guidato dal colonnello Francesco Mortari: un anno di lavoro investigativo con intercettazioni telefoniche ed ambientali e anche videoriprese, anche se le telecamere piazzate dalla Dda venivano spesso sradicate e fatte sparire. L’attività delle forze dell’ordine sottrasse comunque di fatto la gestione di una porzione di città allo spaccio, sgominando la piazza della droga più grande della provincia. Il quartiere popolare della Lamia, tra via Matteotti e viale Trieste, storica roccaforte dei clan cittadini e presidio della cosca Fezza-Petrosino D’Auria, era il regno della droga: le dosi erano stipate tra anfratti e intercapedini murarie, da prelevare alla bisogna per poi effettuare la cessione. «Mai addosso ai pusher e mai nelle case - spiegò il pm Masini riassumendo l’inchiesta - c’erano quantitativi ingenti di stupefacenti, l’organizzazione era strutturata ed era ben precisa l’assegnazione dei ruoli».
Nella vecchia Pagani, una sorta di Scampia annidata tra le viuzze, si portavano avanti affari legati agli stupefacenti. Chi acquistava arrivava in auto, pagava, veniva indotto a fare prima un giro del quadrilatero poi a tornare per prendere il prodotto: pallini di coca e crack viaggiavano così da pacchetti sistemati in anfratti e nascondigli sempre diversi. C’erano nel gruppo i giovanissimi “muschilli” e i capibastone, che disponevano turni e modalità di lavoro impartendo ordini e consegnando paghe.
Nel corso del blitz vennero sequestrati quantitativi di denaro ritenuti provento del ricco mercato illecito, 4000 e 5000 euro in contanti in banconote di piccolo e medio taglio, ad indicare la ricchezza dell’indotto e la frequenza di clienti, quasi tutti paganesi. I fatti contestati arrivano a maggio del 2017, con oltre novanta episodi documentati e contestati a dimostrare come l’attività venisse gestita e coordinata professionalmente.
Alfonso T. Guerritore
©RIPRODUZIONE RISERVATA