Pestaggio nel cimitero, cinque condanne

Dipendente picchiato per favorire un’impresa edile legata al clan Giffoni. Nei guai anche un funzionario comunale

Minacce e botte, per convincere un dipendente del cimitero ad accelerare i tempi di estumulazione e consentire così all’impresa edile di Cosimo Melillo (organico al clan Giffoni) di incrementare i suoi affari con la realizzazione di nuove cappelle. È lo scenario ricostruito dai giudici della prima sezione penale, che hanno emesso ieri pomeriggio la sentenza di condanna per lo stesso Melillo (1 anno e sei mesi), il funzionario comunale Settimio Ferrara (1 anno), e i presunti autori del pestaggio: Antonio Di Benedetto (1 anno), Gaetano Coppola (9 mesi) e Roberto Parisi (1 anno). Rispondono di minacce e violenza finalizzate a costringere alla commissione di un reato, aggravate dal metodo mafioso per i legami di Melillo con il sodalizio guidato da Biagio Giffoni.

I fatti risalgono al 2004, quando un addetto cimiteriale fu picchiato e minacciato per convincerlo ad attestare quello che per i giudici era un falso, e cioè che alcune salme erano già mineralizzate e pronte per l’estumulazione. Un “favore” che serviva a Melillo, indicato dal collaboratore di giustizia Paolo Podeia come il «referente del clan per il cimitero». Lo stesso “pentito” ha confermato agli inquirenti il pestaggio dell’operaio: «Me lo disse Antonio Di Benedetto – ha riferito ai magistrati della Direzione distrettuale antimafia – si vantava che lo avevano minacciato, picchiato e lo avevano buttato in un fosso. Con lui c’era anche Jack, cioè Cosimo Melillo. Lo chiamavamo così perché gli piaceva il Jack Daniels».

Ora il collegio difensivo (Orazio Tedesco, Luigi Capaldo, Giuseppe Caposiena, Paolo Vocca e Rosanna Carpentieri) attende il deposito delle motivazioni per redigere gli atti di appello. In particolare, per il funzionario Ferrara si insisterà su casualità e temporalità del suo incarico di responsabile per le questioni cimiteriali, ricoperto in seguito a una turnazione e da alcuni anni non più operativo.

Ma le motivazioni saranno utili anche per capire quanto i giudici hanno recepito dello scenario tratteggiato dai collaboratori di giustizia, secondo cui tutta la gestione del cimitero sarebbe stata sotto il controllo del clan Giffoni: dai lavori edili per tombe e cappelle, alla fornitura di arredi funebri e anche all’organizzazione dei funerali. Tutto, secondo Cosimo Podeia, «era collegato a dare i soldi al clan». E spiega: «Biagio Giffoni, Bruno Noschese e gli altri appartenenti al clan avevano interessi nel cimitero. Lo misero loro a Melillo là e so che gli dava qualcosa anche a loro». E al soldo del sodalizio ci sarebbero state anche alcune agenzie funebri.

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