Pestaggio del “pentito” Quattro vanno a giudizio

Pagani: sono ritenuti colpevoli di avere intimidito il testimone Prisco Ceruso Per il medesimo episodio sono state già condannate altre sette persone

PAGANI. Finiscono a giudizio altri quattro paganesi ritenuti complici della banda della Lamia responsabile del sequestro e del pestaggio di Prisco Ceruso, “Prisculillo”, poi diventato collaboratore di giustizia. Il gup del tribunale di Nocera ha disposto il processo per Francesco Francese, ventunenne, Salvatore Attianese, venticinquenne, Ciro Contaldo, ventisettenne, e Ciro Califano, venticinquenne, sulla base di una successiva informativa redatta dalla tenenza carabinieri di Pagani, con l’udienza fissata davanti al giudice monocratico il prossimo 24 ottobre 2013.

I fatti contestati risalgono al 26 aprile 2010, quando tre dei quattro indagati, Francese, Contaldo e Califano, minacciarono e presero a pugni Ceruso. L’episodio centrale del pestaggio di Ceruso, quello esaminato dal precedente processo, avvenne la sera dopo, il ventisette aprile, quando Ceruso fu rinvenuto sanguinante, con gravi ferite al setto nasale, ecchimosi e contusioni. I quattro rinviati a giudizio rispondono tutti in concorso di lesioni gravi in concorso, mentre i soli Attianese, Francese e Contaldo rispondono di sequestro di persona insieme ai già giudicati Gaetano Fezza, figlio del boss Tommaso, Vincenzo Buonocore, Giuseppe De Vivo, Alfonso Scarpino, Antonio Nacchio, Valerio Damiano e Vincenzo Califano. Quella prima indagine fu svolta dall’allora tenente del reparto carabinieri di Pagani Fausto Mazzotta. Il giudice monocratico Diograzia dispose la sentenza di colpevolezza con dure condanne per tutti gli imputati.

Dopo le indagini, a processo avviato, Ceruso fu rintracciato a Roma successivamente, dove viveva come un barbone, ricordando in aula a Nocera i dettagli del pestaggio, i singoli colpi, il prelievo da Barbazzano alla Lamia e l’azione del gruppo. Da lì proviene il lavoro del successivo tenente di Pagani Marco Beraldo, che curò l’attuale nuovo fascicolo a carico degli odierni rinviati a giudizio. «L’uomo - scrisse il giudice Diograzia nelle motivazioni della sentenza di primo grado – fu costretto per un apprezzabile lasso temporale a sottostare alla violenza esemplare del gruppo, integrando il delitto di sequestro di persona visto che nessuna possibilità di movimento era concessa alla vittima». Il processo si chiuse con tre anni di carcere per Vincenzo Califano, Ciro Califano, Damiano e Pepe, quattro anni e otto mesi per Scarpino, Buonocore, De Vivo e Nacchio.

Alfonso T. Guerritore

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