camorra a pagani

Persico ora inguaia i politici I referenti dei boss nei partiti

PAGANI. «Per me Antonio Petrosino la deve finire di rompere il cazzo a Pagani, lui e quelli come lui». Lo sfogo, registrato nei verbali registrati nelle audizioni con la DDA, è del collaboratore...

PAGANI. «Per me Antonio Petrosino la deve finire di rompere il cazzo a Pagani, lui e quelli come lui». Lo sfogo, registrato nei verbali registrati nelle audizioni con la DDA, è del collaboratore Alfonso Persico, costruttore uscito con le ossa rotte dal rapporto con il clan.

Il suo racconto è zeppo di fatti che mettono insieme imprenditoria, politica e criminalità paganese, seguendo la linea della sua attività imprenditoriale. Case, concessioni, cantieri, e quindi protezioni, affari e soldi. Con tanti nomi, alcuni dei quali mai comparsi nelle investigazioni degli ultimi anni. A partire dal mediatore di Antonio Petrosino D’Auria, commerciante di ortofrutta, «stabilmente inserito nell’entourage della consorteria», controllato con il boss fin dal 2005, nel 2008 e nel 2014, passando dal titolare di una concessionaria auto, oggetto di investimento da parte del boss, fino all’imprenditore di fiducia, subentrato a Persico dopo i contatti e i tentativi.

«Antonio Petrosino non è uno al quale si può dire di no», spiega un ex assessore Fdi a Persico, che lo riferisce agli atti, parlando dell’amicizia tra i due, del quale il boss diceva fosse in grado di risolvere problemi. Ha fatto forzature e cose non lecite per una struttura della moglie di Antonio D’Auria». Tra i politici c’è un esponente del Pd, in passato vicino al boss Sandro Contaldo al punto, secondo Persico, da fare da intermediario per un’estorsione di cento milioni ad un imprenditore. Persico parla di tangenti al comune, «da versare ad un architetto che prendeva tangenti per le autorizzazioni, all’ufficio tecnico. Per esperienza personale, anche ai privati, dovevano fargli il regalo. Per compiacerlo gli diedi un incarico che lui girò al fratello. Con un decreto ingiuntivo mi chiesero 14mila e cinquecento euro».

Alla parata di malfattori, veri o presunti, indicati dal pentito, c’è un personaggio dai grossi capitali , «che ha messo soldi per far costruire 24 appartamenti sulla Variante, e non solo, finanziando anche me, mi diede cento milioni che ho ridato con dieci per cento mensile. Ho gli assegni». Un altro imprenditore edile, vicinissimo a vecchi boss paganesi, «si trovò un suolo con centocinquanta alloggi, fece una grossa usura ad un ingegnere diventato suo tecnico ed era stretto con Massimo D’Onofrio».

Il panorama si completa con un imprenditore vicino a Forza Italia, già arrestato con il clan Contaldo, un avvocato anche lui forzista che vendette una concessione per un ristorante. Lo dice Persico raccontando anche di altri pregiudicati di piccolo cabotaggio, intermediari e politicanti, bravi a chiedere appoggio elettorale. Al boss, sempre lui, Antonio D’Auria. «Gambino deve mettere chi dice lui, D’Onofrio si deve pigliare qualcosa di soldi». Il collaboratore imprenditore sarà sentito martedì prossimo venti gennaio nell’appello “Linea d’ombra”.

(a. t. g.)

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