Pepella e Sciascinoso Il vitigno d’autore è servito

Grotta Piana: nel calice spunta il profumo della ginestra selvatica

di Barbara Cangiano

Da più di cinquant’anni la casa vinicola Ettore Sammarco di Ravello difende con tenacia e sudore della fronte una varietà di vitigni autoctoni che nel loro Dna raccontano la storia antica di un popolo dedito alla coltivazione del vino fin dai tempi della Roma imperiale. Biancazita, Ginestra, Pepella, Sciascinoso continuano a crescere accarezzati dal vento, a un’altezza di quasi quattrocento metri sul livello del mare, nella collina che abbraccia uno dei borghi medievali più raffinati di tutta la costiera amalfitana. L’avventura comincia nel 1962 quando Ettore Sammarco (nella foto con il figlio Bartolo) decide di dare una “spolverata” all’azienda agricola di famiglia. «Fino a quel momento mio padre lavorava i circa tre ettari di terreni di famiglia che producevano limoni, olive ed uva che serviva per realizzare vino da vendere sfuso - racconta il figlio Bartolo - Poi, preso dall’amore per la sua terra e dal desiderio di creare qualcosa di completamente nuovo, decise di imbottigliare il frutto della sua fatica e di giocarsi il nome, affinchè tutti potessero sapere che era lui a produrlo». All’inizio il cammino è in salita, perché la concorrenza è spietata e l’inesperienza con i disciplinari e la burocrazia mina gli entusiasmi. «Ma papà non ha mai ceduto». Vede così la luce il bianco Selva delle Monache, un blend di Falanghina e Biancazita, frutto di grappoli coltivati in un vigneto abbandonato di proprietà di un monastero. Ettore Sammarco lo rimette in sesto e ne fa un piccolo scrigno: le erbacce lasciano il posto ai tralicci, ripagando con generosità l’impegno profuso. «Mio padre non ha mai sopportato che i terreni fossero lasciati incolti e per questo ha sempre cercato di fare opera di “proselitismo”, spingendo gli agricoltori della zona a non mollare o a dargli in fitto le proprietà che non avevano più intenzione di coltivare», sottolinea ancora Bartolo. Oggi, infatti, oltre agli ettari targati Sammarco e a quelli presi in locazione nei terreni limitrofi fino a Scala, l’azienda può contare su circa una trentina di conferitori che producono uve selezionate e di grande qualità. Nel segno del rispetto della terra e di quei vigneti che l’impegno caparbio dell’uomo ha saputo rubare alla roccia, Ettore Sammarco produce oggi anche la linea Terre Saracene (nata sette anni fa), mentre il Cru della casa è il Vigna Grotta Piana, una fusione alchemica di Biancolella, Falanghina e Ginestra che crescono sul monte Brusara. A rendere unico questo vino, la ventilazione costante degli ultimi terrazzamenti e l’escursione termica fondamentale, sottolinea Bartolo, per la formazione dei precursori dell’aroma su buccia. Il profumo è magico e non a caso ricorda quello della ginestra che cresce spontanea nei campi, ai bordi delle strade di campagna. Tra i rossi, la punta di diamante è Selva delle Monache rosso Riserva (Aglianico e Piè di Rosso) che dopo una fermentazione malolattica riposa per circa 18 mesi in barrique di rovere francese per poi affinare sei mesi in bottiglia. Il Per e’ Palummo vinificato in bianco con un contatto breve delle bucce con il mosto, dà invece origine al rosato Selva delle Monache, figlio di un contatto a freddo in prefermentazione. «Il vino è una tradizione di famiglia, ormai fa parte della nostra cultura - spiega Bartolo che ha iniziato a lavorare in azienda subito dopo aver terminato gli studi - oggi siamo in cinque e anche se il lavoro è impegnativo siamo orgogliosi della realtà che abbiamo messo in piedi». Del resto il mercato non è stato avaro: i prodotti della cantina Sammarco sono leader in costiera amalfitana, ben radicati nel Nord Italia ed iniziano ad affacciarsi anche all’estero. Visite guidate e wine tour sono fattibili su prenotazione, in vista dell’ennesimo cambio di pelle dell’azienda che sta lavorando alla creazione di un centro di accoglienza per turisti ed enoappassionati.

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