GUERRA DEI PASCOLI

Pennasilico, il colpo di grazia in diretta

La vittima lasciò il telefono acceso: «Sparami un’altra volta». A dirlo ai giudici il figlio, a sua volta scampato all’agguato

GIFFONI SEI CASALI - «Se hai le p... sparami un'altra volta». Queste sarebbero le ultime parole pronunciate da Domenico Pennasilico, l'allevatore di Sieti di Giffoni Sei Casali, prima di essere finito con un colpo di arma da fuoco. A raccontarlo ai giudici della Corte di Assise di Salerno è stato Generoso Pennasilico, il figlio, che quel pomeriggio del 23 aprile 2019, in località Ferrarini, scampò all'agguato organizzato e messo a segno - secondo la procura di Salerno - dai De Meo di Curti di Giffoni Valle Piana, rivali nella spartizione dei terreni per i pascoli. Il più giovane dei Pennasilico, teste della pubblica accusa, ha riferito in aula di aver udito la frase del padre attraverso il cellulare perché la vittima dell'agguato aveva lasciato la conversazione aperta. E sempre il figlio avrebbe sentito l'eco del colpo da sparo. Confermato il movente dalla vittima: lo sconfinamento degli animali e il presunto atteggiamento monopolista degli imputati.

A processo per la morte di Domenico Pennasilico sono Bruno Di Meo, il 23enne di Giffoni Valle Piana, difeso dagli avvocati Paolo Carbone e Maurizio De Feo, che è ritenuto dagli inquirenti il killer e i complici Franco Di Meo e Nicola Di Meo, fratelli, quest’ultimo padre di Bruno, incastrati dagli esami dei carabinieri del Ris di Roma. Il testimone, che è anche persona offesa, nel corso dell’escussione davanti alla Corte, ha detto che quel pomeriggio, dopo aver raggiunto la montagna, s'imbatté in Bruno De Meo che gli punto una pistola contro. Lui scappò e si nascose dietro una roccia. Il giovane allevatore rivale gli sparò dietro due colpi di pistola.

«Ma non so dire se mi inseguì», ha specificato. Ci sono stati anche momenti drammatici nella ricostruzione fatta dal Pennasilico- figlio, quando ha raccontato l'ultima telefonata intercorsa con il padre: «Scappa, mi stanno sparando», gli avrebbe detto, esortandolo a mettersi in salvo. Cosa che riuscì a fare, sfuggendo ai colpi di pistola sparati dal giovane Di Meo. Quella tra i De Meo e i Pennasilico si inserisce in quella che, in modo semplicistico, viene definita la “guerra dei pascoli”, nella quale si arriva anche a sparare, e uccidere, per lo sconfinamento di animali da un’area all’altra della montagna per l’allevamento all’aperto del bestiame. La vittima della pioggia di fuoco, Domenico, fu dapprima ferito ad una gamba per impedirgli la fuga e poi freddato da distanza ravvicinata.

A raccontarlo, negli ultimi istanti di vita, fu lo stesso pastore al figlio che poi lanciò l’allarme al cellulare, chiamando alla centrale dei carabinieri. E sono stati proprio i carabinieri del nucleo operativo della compagnia di Battipaglia, diretta dal maggiore Vitantonio Sisto e dal tenente Graziano Maddalena, a ricostruire la sequenza dell’agguato che avvenne lontano da occhi indiscreti, mentre a Curti la gente era distratta dalla festa della Madonna di Carbonara e dallo spettacolo del “Tiro al caciocavallo”. I militari dell’Arma sono riusciti, grazie ad un lavoro certosino, ad incastrare Bruno De Meo con la prova dello stub, e poi i complici, attraverso le indagini tecniche del Ris. Gli investigatori hanno scoperto così che ha sparare quel giorno furono più armi, ben tre (due fucili e una pistola) e in località Ferrarini c’erano più persone ad attendere l’arrivo dei Pennasilico. I carabinieri, alla prossima udienza, saranno sentiti come testi. I familiari dei Pennasilico si sono costituiti parte civile, assistiti dagli avvocati Massimo Torre, Federico Conte e Francesco D’Onofrio.

(m.l.)