IL CASO

Passo indietro nel processo ai portatori di San Matteo

Venti imputati per il caos di quattro anni fa, ma il dibattimento dovrà ricominciare dall’inizio

SALERNO - Era il 21 settembre 2014: lo strappo covato da giorni, tra Curia da un lato e portatori e Comune dall’altro, sfociò in una processione in cui il passaggio dell’arcivescovo fu accompagnato da insulti e fischi, e ad ogni sosta si rischiava la rissa. L’ingresso del Santo in Comune, dove la porta fu fatta trovare aperta, fu l’apice di una prova di forza con cui la maggioranza dei portatori impose alla Chiesa i suoi “inchini”, in continuità con la tradizione e in spregio a quella linea di sobrietà che monsignor Moretti aveva cercato di inaugurare recependo le linee guida della Conferenza episcopale campana. Negli anni successivi ognuna delle componenti ha provato a ricucire quello strappo un po’ alla volta, ma gli strascichi di quella serata riemergono ad ogni San Matteo e risuonano tuttora nelle aule di tribunale, dove venti persone (quattro paranzieri e sedici fedeli individuati come gli autori dei cori) sono imputate con le accuse di turbamento di funzione religiosa e vilipendio di un ministro del culto. Il processo doveva essere ormai alle battute finali, ma il recente turn over dei magistrati lo ha portato all’esame di un nuovo giudice, richiedendo il consenso degli avvocati per l’acquisizione di quanto già fatto. Non tutti hanno detto sì, e il dibattimento dovrà quindi ricominciare daccapo nella prossima udienza, fissata a ottobre. Per l’arcivescovo Luigi Moretti (che non ha voluto costituirsi parte civile) quella processione fu una sorta di via crucis. Ma l’impianto accusatorio della Procura va anche altre oltre, perché secondo il pm Francesca Fittipaldi i tre portatori che guidavano la statua di San Matteo avrebbero preso con la forza le redini del corteo non solo per amore della tradizione, ma per continuare a omaggiare con le “girate” delle paranze gli esponenti della famiglia Grimaldi uccisi nella guerra di camorra. Secondo la tesi degli inquirenti nascerebbero così la sosta in piazza Portanova (dove fu assassinato nel 1996 Berardino Grimaldi), quella di fronte al chiosco sul Lungomare (gestito dai Grimaldi e poco distante dal luogo dell’omicidio, nel 2002, del “vampiro” Lucio) e l’altra in direzione di via Arce, che conduce al circolo di Porta Rotese dove fu trucidato nel 1998 Lucio Esposito, padre del paranziere Consolato. Poi ci sono le altre fermate che la Curia aveva vietato e che invece furono effettuate: al Comune, al Comando della Guardia di finanza in via Duomo, nel punto di via Roma dove morì per un malore il capo paranza Matteo Alfieri, e in piazza Cavour, dove i portatori posarono le statue a terra minacciando di lasciarle lì se il “saluto al mare” non fosse stato permesso. Il collegamento tra fede popolare e criminalità organizzata è stato respinto sin dall’inizio da tutti gli imputati. E in una delle ultime udienze, nello scorso marzo, la linea difensiva ha trovato sponda nella deposizione di monsignor Comincio Lanzara , cerimoniere della Curia: «Le soste del santo patrono sono le stesse di quando andavo al ginnasio – ha detto – E il ginnasio lo frequentavo nel 1954». Ben prima della guerra di camorra ricostruita dai magistrati.

(c.d.m.)