Parto sotto falso nome, due condanne

Una romena dichiarò le generalità di una donna di Baronissi che si sarebbe preso il bimbo fingendo di essere la madre

BARONISSI. Un bambino e due mamme: quella vera, una 31enne romena che nel 2011 cercò di partorire in clinica sotto falso nome; e quella falsa, una 49enne di Baronissi che secondo i giudici le diede la sua carta d’identità perché si registrasse col suo nominativo in modo che risultasse lei la madre del neonato. I giudici della terza sezione penale (presidente Anna Allegro) hanno condannato entrambe alla pena di 1 anno e tre mesi per il reato di alterazione di stato civile, assolvendo invece il marito della 49enne, sul quale non risultano prove che abbia partecipato all’inganno. Il pubblico ministero aveva chiesto per lui e per la moglie una pena di tre anni, ritenendo che la loro una condotta istigatrice ben più grave dell’accondoscendenza della straniera, per la quale aveva proposto una pena di un anno e mezzo e per cui il difensore Mariano Salvio aveva inoltre chiesto le attenuanti dello stato di disagio sociale ed economico. Alla fine l’uomo è stato assolto e le due donne sono state condannate alla stessa pena, sebbene il difensore dell’italiana, Gerardo Cembalo, ritenga non provato che a consegnare la carta d’identità sia stata la sua assistita e preannuncia per questo ricorso in appello.

Era il 2011 quando la 31enene romena si presentò in avanzato stato di gravidanza alla clinica Villa del Sole di Salerno, consegnando il documento con le generalità della signora di Baronissi. A far saltare il piano fu una dottoressa in servizio in reparto: troppo giovane quella partoriente che stava visitando per essere la 49enne dichiarata all’atto della registrazione in clinica, e troppo evidente l’inflessione straniera dell’accento per essere compatibile con le generalità di una donna nata a Fisciano e residente a Baronissi. Le chiese quindi un documento d'identità, che fu portato due ore dopo dalla stessa signora che l’aveva accompagnata in clinica e che, secondo gli inquirenti, la 49enne condannata ieri. La straniera (ora irreperibile) confermò l’inganno: «Avrebbe cresciuto il bambino come in figlio suo – racccontò agli inquirenti – Io accettato perché ero in difficoltà economiche e perché mi avevano promesso di aiutarmi a sostenere anche i due figli che avevo già». All’epoca i coniugi non furono identificati, ma gli inquirenti definirono verosimile che fossero quelli che già figuravano su cartella clinica e registri diagnostici. Alla scorsa udienza si eseguì in aula un riconoscimento che ha dato esito parziale e ieri è stata emessa la condanna.

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