«Paolo stava male, nessuno l’ha aiutato»

Parla Massimiliano, il fratello dell’ex calciatore deceduto domenica mattina: «Le istituzioni ci hanno abbandonato»

«È stato descritto come un debosciato, uno che faceva gli spogliarelli sui treni, un attaccabrighe. Mio fratello era, invece, una brava persona ma stava male, molto male, io ho cercato di proteggerlo ma nessuno mi ha dato retta...». Le parole gli si fermano in gola e su di loro prendono il sopravvento i singhiozzi. Massimiliano Petrullo stringe tra le mani la foto di suo fratello più piccolo, un’immagine di alcuni anni fa, in cui l’ex calciatore deceduto domenica mattina- immortalato negli anni d’oro della Turris - appare felice, soddisfatto, di una bellezza mozzafiato. «Le ragazze lo aspettavano sotto casa tanto era il suo fascino. Era gentile con tutti, allegro, non gli mancava niente - continua affranto colui che ha visto il suo Paolo cadere in un tunnel senza uscita - poi un lento declino. Si è piano piano allontanato dalla vita, da una vita che non gli piaceva, che non voleva che gli appartenesse. Fino ad arrivare alla dissociazione completa, causata da una fortissima depressione da cui non riusciva ad uscire. E che noi, mia madre e io, non riuscivamo più a gestire».

Massimiliano racconta che meno di un mese fa, presagendo il peggio, si era recato al centro di igiene mentale chiedendo per l’ennesima volta aiuto: «Ho chiesto ai medici di fare un esposto in cui si descrivevano le condizioni psicheche di mio fratello. Avevo paura che potesse fare del male a qualcuno o a se stesso. Ma mi hanno risposto che doveva arrivare una sentenza per un eventuale misura cautelare. Sono addirittura andato in Tribunale, volevo che mio fratello venisse condannato tanto che ero disperato. Non sapevo più cosa fare...». E piange, piange il fratello maggiore del 45enne che domenica mattina, dopo un violento litigio con sua madre sull’uscio della sua abitazione, al primo piano del civico 225 di via Posidonia, è precipitato nel vuoto battendo violentemente la testa.

«Non si è suicidato. Voglio chiarirlo. Era solo fuori di sè, come spesso accadeva, e si è accasciato su un lato sporgendosi troppo sulla balaustra del primo piano. Perdendo l’equilibrio è caduto. È andata così». La depressione di Petrullo ha cominciato a rodere lentamente il suo animo quando l’uomo ha smesso di giocare a pallone; «nei primi anni era gestibile - racconta il fratello - lo abbiamo portato dai migliori specialisti. È stato anche in una comunità ma non avendo l’obbligo di rimanervi, l’ha lasciata dopo dieci giorni. Poi, da un anno a questa parte, la situazione è precipitata. Era in terapia farmacologica e beveva molto. Il mix di psicofarmaci e alcol gli causava stati alterati di coscienza. Nei rari momenti di lucidità diceva di non ricordare cosa aveva fatto». E poi la dolorosa accusa alle istituzioni: «Quando gli operatori del 118 andavano a soccorrerlo per strada ormai non lo trasportavano neanchè più in ospedale ma ce lo depositavano come un pacco davanti casa. Ma lui aveva bisogno di un aiuto, un aiuto che noi non eravamo in grado di dargli». Stringe i pugni Massimiliano, e dai suoi occhi continuano a scendere lacrime di rabbia e di dolore per una morte che, a sua detta, poteva essere evitata. «Volevo proteggerlo - continua a ripetere - perchè lui non riusciva più a liberarsi dai mostri che invadevano la sua mente. Volevo che qualcuno si prendesse cura di lui per farlo tornare la persona meravigliosa che era. Ma nessuno mi ha ascoltato».

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