Pagani, l’affare del calcestruzzo

Il racconto del collaboratore Persico: «I Marrazzo volevano impormi materiale di qualità scadente»

PAGANI. Calcestruzzo, ferro, mattonelle e protezione. Tutto fornito a prezzi di favore dalla “Torretta cave”, da anni nel mirino di indagini dell’antimafia, interdittive e sequestri. Con materiali sospetti nella composizione del calcestruzzo. Lo racconta il teste-collaboratore Alfonso Persico, imprenditore edile, al pm Vincenzo Montemurro.

«A me risultava che a Pagani si pagava il pizzo. E Francesco Marrazzo, proprietario della ditta Torretta, mi disse - non ti preoccupare, se bisogna fare il regalo a qualcuno me la vedo io - Sarebbe stato lui l’intermediario. Era il mio primo cantiere, cercate di lasciarmi in pace, gli dissi. Lui mi rispose -Alfò, lo sai come funziona a Pagani, purtroppo ci sono le famiglie dei carcerati e bisogna fargli il pensiero. Poi quando sarà il momento ti dico io - A me questo discorso non piacque. In giro venni a conoscenza, prova provata, che lui al posto di fornire cemento, acqua e inerte, al posto degli inerti forniva materiali di rifiuto. Parliamo di tavelle e cose varie».

La qualità della fornitura, secondo quanto appreso dal costruttore atteso al processo “Linea d’ombra”, era scadente. «Lo so per certo perché il carpentiere che doveva fare i lavori nella mia cooperativa, praticamente aveva fatto lavori limitrofi al mio cantiere. Dove venivano questi sedici appartamenti, è un intero comparto di area 167, con duecentocinquanta appartamenti. Lui era un cottimista, aveva già usato il prodotto e mi disse - Alfò se puoi evitare evita, perché fa talmente schifo questo calcestruzzo che non esiste proprio. È proprio da evitare». Persico lo spiega al pm. «Capite che io da imprenditore, non potevo permettermi quella qualità, è impensabile fare speculazione sul calcestruzzo, perché è il portamento di un fabbricato. Vi posso anche dire che qualche fabbricato lì vicino ha dovuto fare rinforzi alla struttura, perché con le prove non è uscita come voleva la legge. Io conobbi un impianto di Castellammare, aveva il meglio, iniziammo i lavori con loro. Appena arrivò la pompa per scaricare, arrivò Franco Marrazzo.- Nel mio paese non esiste, come ti sei permesso di far venire un altro impianto, io ti posso dare il prezzo migliore- Lo invitai ad andare via che stavo lavorando. Lui mi disse che i compagni non erano stati felici, che il paese era dei paesani e non avevo fatto bene. A quel punto incontrai Antonio Petrosino D’Auria, chiamato da Franco Marrazzo. - Cerca di capire - mi disse Petrosino - io sono un punto di registro, il paese è del paesano, il calcestruzzo lo deve vendere Marrazzo.- Io risposi che volevo la qualità». Che pur non sussistendo, secondo i parametri di legge e sicurezza, non lasciava alternative. O i “Cuozzo”, o problemi. Tanto più che Persico aveva già avuto idea, quando nel 2001 in un cantiere a via Corallo gli venne incendiato un escavatore. «A me risulta che fu incendiato da Michele Petrosino, che anche lui abitava a cinquanta metri. Da dove abitano si vedono i lotti, prendendo informazioni che l’escavatore era di Salvatore Marrazzo, del movimento terra, che loro stavano in contrasto...».

Alfonso T. Guerritore

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