«Ora De Luca farà i conti con la politica»

Federico Conte alla presentazione del nuovo movimento spiega le ragioni del suo addio ai Democratici

SALERNO. Al Testaccio, a Roma, negli spazi della Città dell’altra economia Federico Conte, insieme a altri salernitani (nella capitale c’era Andrea De Simone e anche Franco Tavella) ha partecipato alla nascita del nuovo soggetto politico Democratici Progressisti, dimettendosi da dirigente nazionale del Pd, perché? «Confidando nelle ragioni che avevano giustificato la nascita del Pd. Mi interessava l’idea che, coniugando, in prospettiva moderna, le culture politiche del novecento (socialista, liberale e dottrina cattolica), si potesse meglio intercettare il processo innescato dalla globalizzazione.

Quindi ha creduto in Renzi e nella sua politica ?

Renzi, agli inizi, ha dato l’impressione di volere interpretare il cambiamento e la modernità, tuttavia, non condividendo la sua politica per slogan e la pretesa di rottamare l’intelligenza in base all’età, alle primarie mi schierai con la sinistra, senza cedere alla convenienza di aderire alla maggioranza renziana nazionale e locale. Feci prevalere i miei convincimenti di socialista liberale.

E ora perché ha deciso di uscire dal Pd, mentre Cuperlo che lei aveva votato alle primarie, resta con Renzi ?

Stimo Cuperlo ma credo che ben presto sarà costretto a fare i conti con la sua “coerenza incoerente” e con lui moti altri dirigenti locali e nazionali. In ogni caso non amo appartenere a un nome, anche perché non ci sono in campo i Togliatti, i De Gasperi, i Nenni , i Lombardi e neppure i Craxi, intorno ai quali si formò, a cominciare da Salerno, una classe dirigente di grande qualità e personalità.

In particolare cosa contesta a Renzi?

A parte l’inaccettabile dispotismo, mi ha deluso sia nell’opera di Governo che nella conduzione del partito.

Quali gli atti del Governo che non ha condiviso?

Il programma che ha tentato di realizzare è espressione, nei suoi punti fondamentali, della peggiore Europa dei rigoristi: dal primo decreto Poletti , che formalizzava il precariato, alla Job acts che liquidava la residua civiltà giusvalorista moderna; dalla legge di stabilità che simulando politiche espansive ha scaricato il costo dei doni fatti alla grande industria sulle amministrazioni locali e quindi sui servizi, al totale abbandono del mezzogiorno; dalla Riforma Costituzionale all’Italicum; dalla riforma fiscale alla riforma scolastica. Dalla mortificazione del parlamento, dove tutto è avvenuto agendo sui deputati e i senatori con il cosiddetto “metodo Verdini”, all’emarginazione di tutti i corpi intermedi della democrazia: (sindacato, associazioni

Lo ha demolito?

Bisogna dire le cose come stanno. Ha agito per ridimenzionare se non azzerare consolidati equilibri sociali, sistemi di garanzia e di tutela dei lavoratori, delle professioni e del ceto medio produttivo. Sul piano economico e finanziario, il renzismo ha consentito ai poteri dominanti di utilizzare a proprio favore la crisi, a danno dei meno abienti.

Però Renzi ha rinvigorito il Pd e ne ha rilanciato il ruolo istituzionale.

Agli inizi ha effettivamente portato una ventata nuova, accendendo speranze e stimolando interessi. Alla prova dei fatti sé rivelato un conservatore degli egoismi dei poteri forti. Ha posto la continua evocazione della rottamazione e di un nuovo inizio al servizio del peggiore continuismo. Ha sedato gli organi dirigenti del partito che ha riunito raramente e in maniera burocratica e senza discutere. Il codice linguistico suo e dei dirigenti a lui legati è diventato il populismo.

Ma non si poteva operare dall’interno evitando la scissione?

Impossibile. Renzi ha reso il partito non contendibile. La sua politica prevede un uomo solo al comando ed è sintetizzata in due leggi: la riforma costituzionale e la riforma elettorale. Un combinato disposto che avrebbe dovuto sancire la personalizzazione del sistema e la su ascesa. Il disegno è stato bloccato dal referendum del 4 dicembre e dalla corte costituzionale. Ma Renzi non ci ha rinunciato, ha cambiato solo tattica. In 40 giorni cucinerà il congresso e si assicurerà un più ossessivo controllo del partito per poi ripartire. È convinto interprete del cosiddetto “sovranismo”, la personalizzazione del potere. Bisogna contrastare questa deriva in cui è coinvolta anche la desrta, costituendo un campo politico riformista, di stampo popolare e socialista

Una prospettiva che da noi deve fare i conti con De Luca.

Certo. De Luca è un tipico esempio di sovranismo locale che ha tolto la parola al Pd e alle istituzioni. Ha fatto incetta di potere, mille nomine tra consulenti e incarichi. Ci muoveremo con rispetto e determinazione per costringerlo a fare i conti con la politica, con la nostra idea di Regione, fondata sull’esigenza di una cultura dell’identità e del progetto. Saremo i difensori civici dei diritti politici e dei bisogni, con un programma dettagliato e di largo respiro, aperto a tutti.

I socialisti possano avere un ruolo determinante?

Il movimento che sta nascendo è plurale, un campo ideale di confronto per le tante espressioni della sinistra, del socialismo e del mondo cattolico e liberale, e di personalità come Pisapia. Siamo in buona e organica compagnia per dare voce al meglio di Salerno e del Mezzogiorno. (c.p.)

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