Operazione in tavernetta: assolto 

Giustiniani e la moglie condannati invece per esercizio abusivo della professione

Nessuna lesione fu cagionata dal chirurgo estetico Bruno Giustiniani alla paziente durante quello che le cronache citano come “l’operazione nella tavernetta”. Il giudice monocratico Marilena Albarano del Tribunale di Salerno ha assolto il medico salernitano e sua moglie, Gioconda Pappalardo, perché il fatto non sussiste. Lo stesso giudice ha condannato entrambi per esercizio abusivo della professione e violazione delle norme di sicurezza: il chirurgo ad 1 anno e due mesi e la moglie ad undici mesi, entrambe le pene sospese. Tutto nasce dalla denuncia di un paziente del chirurgo salernitano che all’epoca dei fatti aveva 28 anni. Si era rivolto a lui per eliminare l’inestetismo di uno sviluppo anomalo delle ghiandole mammarie, tramite una liposcultura che prevede l’impiego di cannule per l’aspirazione del grasso in eccesso. Ma dopo l’intervento si sarebbe ritrovato, oltre alle cicatrici, una situazione peggiorata, accompagnata da un forte dolore e dai sintomi di una depressione. Il paziente raccontò nella sua testimonianza alla giudice Marilena Albarano, che l’intervento avvenne sotto anestesia. L’intervento sarebbe stato eseguito dal medico e dalla moglie nella tavernetta della loro abitazione, nella località collinare Casa Manzo. L’anestetico – raccontò il paziente, costituitosi parte civile assistito dall’avvocato Anna Lisa Buonadonna – fu preparato e somministrato dalla moglie di Giustiniani. Dalle accuse il professionista si è difeso strenuamente, rigettando l’accusa di aver eseguito l’intervento in casa in assenza di sicurezza. «Non ho mai operato in una tavernetta, anzi nella mia casa una tavernetta non c’e proprio», disse Giustiniani alla giudice Albarano durante le dichiarazione spontanee. «Quello che fu eseguito – disse in aula – era un semplice trattamento estetico, una idroelettroforesi che si pratica senza alcun problema nei centri estetici». Sull’accusa di aver operato in casa, nella sua tavernetta, disse: «Quando ho operato qualcuno l’ho sempre fatto in clinica». La sentenza di primo grado gli dà parzialmente ragione. Se è vero che il chirurgo non cagionò lesioni al paziente, per il Tribunale è responsabile dell’altra accusa, ovvero esercizio abusivo della professione e violazione delle norme di sicurezza. Il giudice si è riservato tre mesi per le motivazioni. Solo dopo il chirurgo potrà ricorrere in appello. (m.l.)
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