Operaio morto nella fabbrica Il giudice condanna la Larek

Raffaele Trotta, di Baronissi, era precipitato dal tetto di un capannone a causa di un lucernaio rotto Un collega depistò le indagini ma ha ritrattato ed è stato assolto. La vedova: «Doveva dirci la verità»

BARONISSI. Ci sono due colpevoli per la morte del 47enne Raffaele Trotta, l’operaio di Baronissi che il 12 settembre del 2008 precipitò da un capannone della fabbrica di laterizi Larek, nella frazione Brignano di Salerno. Ieri mattina il giudice monocratico Carlo Cataudella ha condannato in primo grado il legale rappresentante della ditta, Sossio Canciello, e il consulente aziendale Carmine Apicella, che dispose l’intervento di manutenzione straordinaria e salì sul tetto insieme a Trotta e a un altro operaio. Per Apicella, che secondo l’accusa fece eseguire il lavoro senza che vi fossero tutte le condizioni di sicurezza, il giudice ha emesso la sentenza più pesante: una pena di quattro anni, sei mesi in più della richiesta formulata dal pubblico ministero Cristina Giusti. Tre anni, come proposto dal pm, a Sossio Canciello. Entrambi sono interdetti per un anno dai pubblici uffici, inoltre la Larek è stata condannata al pagamento di 258mila euro di sanzioni amministrative per inosservanza delle norme di prevenzione degli incidenti sul lavoro.

Assolto, per intervenuta ritrattazione nel corso del processo, il terzo imputato, l’operaio Pasquale Quaranta, collega di Trotta e con lui in cima al capannone al momento della tragedia. Era accusato di favoreggiamento per aver tentato di depistare le indagini, perché ai carabinieri che giunsero sul posto disse che l’operaio era caduto da una scala, mentre le indagini hanno dimostrato che Trotta era precipitato all’interno di un capannone dal tetto, a causa della rottura di un lucernaio sul quale stava passando dopo aver terminato l’intervento di riparazione. Dal processo è emerso che le dichiarazioni di Quaranta furono un tentativo di sottrarre la Larek alle sue responsabilità, tanto più che qualcun altro cercò di pulire dal sangue il vero luogo dell’incidente. In udienza Quaranta ha poi ritrattato le sue dichiarazioni, ricostruendo i fatti per come erano avvenuti e guadagnandosi così l’assoluzione. Anche se quella testimonianza falsa brucia ancora alla moglie e alle figlie di Raffaele Trotta, costituitesi parte civile tramite l’avvocato Rosa Maria Landi e che dall’inizio del processo non hanno perso un’udienza. «Lui e mio marito erano amici – spiega la vedova Assunta Centanni – Abbiamo compreso che temeva per il posto di lavoro, ma almeno a noi avrebbe potuto dire la verità». Quando seppe cosa era accaduto lei capì subito che qualcosa non era andato per il verso giusto: «Mio marito non doveva essere sul tetto, non aveva quelle mansioni» commentò a caldo. Gli ispettori dell’Inps lo hanno poi confermato in udienza, spiegando che per quel genere di lavori doveva esserci stata una formazione specifica.

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