«Nomina illegittima coperta dal silenzio»

Per i giudici De Luca e i dirigenti erano consapevoli dell’irregolarità dell’incarico «Fu inventata una posizione apicale, Di Lorenzo avrebbe guadagnato di più»

SALERNO. Non un banale “abuso teminologico”, come lo aveva definito Vincenzo De Luca dopo la sentenza, ma l’afffidamento ad una persona di sua stretta fiducia di una “inventata posizione apicale, con conseguente riconoscimento di una più sostanziosa retribuzione”. Bastano undici parole – scritte a pagina 133 delle 142 delle motivazioni della sentenza di condanna per abuso d’ufficio, depositate ieri – per smontare la ricostruzione a posteriori fatta dall’ex sindaco di Salerno. Fu abuso d’ufficio perché la nomina di Alberto Di Lorenzo, capo staff del sindaco, a project manager per la realizzazione del termovalorizzatore era illegittima. Illegittima perché non solo tale figura non è prevista nella pubblica amministrazione, ma non è neppure assimilabile a quella di un coordinatore, ma nel caso specifico è ritenuta “inutilemente duplicativa delle funzioni del responsabile unico del procedimento”, che era l’ingegnere Domenico Barletta. E ancora: è vero che tutto si è risolto in un esborso di 20mila euro, somma che, ridotta per le detrazioni, ha comportato un’erogazione netta in busta paga per Di Lorenzo di 8.098,56 euro. Ma è solo lo “stralcio” di una verità più ampia perché quella somma era relativa all’acconto sui compensi spettanti a tutto il gruppo di lavoro e l’accusa ha calcolato che, se fossero state mantenute le proporizioni, il capo staff si sarebbe potuto vedere riconosciuti fino a 402mila euro.

Il reato consumato. Il pm Roberto Penna aveva chiesto la condanna di De Luca, Di Lorenzo e Barletta per peculato. La seconda sezione penale del Tribunale di Salerno – presidente Ubaldo Perrotta, giudici Antonio Cantillo e Mariano Sorrentino – hanno ritenuto che i fatti contestati integrassero, invece, gli estremi del reato di abuso d’ufficio. Perché, in buona sostanza, manca l’espropriazione di risorse che deve connotare il peculato: alla pubblica amministrazione non sono stati sottratti dei soldi. La “nomina di Di Lorenzo a project manager non risulta aver inciso – scrivono i giudici nella motivazione – sull’entità complessiva dell’esborso di denaro pubblico, bensì solo sulle modalità di ripartizione dell’intera somma tra i diversi componenti del gruppo di lavoro”. Ovvero, i dipendenti chiamati a collaborare per la realizzazione del termovalorizzatore, e tra essi lo stesso Di Lorenzo, si sarebbero divisi una somma maggiore se non fosse stata data una fetta abbondante al capo staff del sindaco. Due cifre rendono l’idea: al responsabile unico del procedimento, Barletta, furono assegnati 28mila euro; poco meno (20mila) a Di Lorenzo; 9.500 euro a nove dirigenti chiamati a far parte del gruppo di lavoro; somme minori agli altri componenti. Ad influire sul calcolo fu proprio la nomina di Di Lorenzo a project manager. Non un incarico fittizio, perché effettivamente il dirigente si occupò dell’iter relativo alla creazione dell’impianto e, quindi, andava retribuito. Ma poiché quella nomina era illegittima, si configura l’abuso d’ufficio che ha portato alla condanna dell’allora sindaco e dei due dirigenti comunali – attualmente sospesi e delegati ad attività di ricerca – ad un anno di reclusione, con la sospensione della pena.

La staffetta Criscuolo-Di Lorenzo. Tutto ruota intorno a due ordinanze emesse da De Luca in qualità di commissario straordinario per la realizzazione del termovalorizzatore: la prima è datata 14 febbraio 2008, la seconda è di quattro giorni dopo. Il giorno di San Valentino, il sindaco di Salerno nomina l’ingegnere Domenico Barletta responsabile unico del procedimento – Rup nell’abbreviazione del linguaggio amministrativo – e il gruppo di lavoro che lo affiancherà, affidandone il coordinamento al dirigente del settore Lavori Pubblici, Lorenzo Criscuolo. Il 18 febbraio nuova ordinanza: Barletta resta Rup; a Criscuolo vengono tolti incarichi di coordinamento, ma continuerà a far parte del gruppo di lavoro; Di Lorenzo, che già era nel gruppo di lavoro, viene nominato project manager “con funzioni di gestione operativa del progetto e compiti di coordinamento e organizzazione del gruppo di lavoro”.

Il sistema De Luca. Cos’è cambiato in quattro giorni? Difficile da capire, anche perché Criscuolo non chiede spiegazioni: così afferma quando viene sentito. Ritiene che la scelta possa essere dettata dalla già grande mole di lavoro che gravava sulle sue spalle, ma è difficile pensare che De Luca non lo sapesse: notoriamente, finché è stato sindaco ha trattenuto per sé – circostanza ricordata anche nelle motivazioni della sentenza – la delega ai Lavori Pubblici, risultando, di fatto, l’interlocutore politico del dirigente del settore, che era proprio Criscuolo. Il project manager è indicato dal Rup. Per la difesa di De Luca, il sindaco “non ha nominato. Gli è stato imposto, non avrebbe potuto rifiutarsi”. Una ricostruzione, quella di un De Luca “messo con le spalle al muro da Barletta” che ai giudici pare “azzardata”. “Non è immaginabile – è un passaggio della sentenza – che le qualità di Di Lorenzo fossero state segnalate da Barletta a De Luca, del cui staff Di Lorenzo era dirigente”. Nel corso del dibattimento si è anche discusso dei titoli posseduti da Di Lorenzo che, al momento della nomina a project manager, aveva di sicuro grande esperienza amministrativa, ma un diploma di geometra e una laurea triennale in Scienze del Governo e dell’Amministrazione. Quella specialistica l’avrebbe conseguita qualche settimana dopo il conferimento dell’incarico. All’interno del gruppo di lavoro, dunque, c’erano professionalità più titolate. Ma quello dei titoli di studio non è mai stato un problema per De Luca: a Felice Marotta è stato conferito prima l’incarico di vicesegretario generale dell’ente, poi quello di direttore generale. In entrambi i casi è scattata, per gli amministratori comunali, la condanna della Corte di Conti. L’importante è avere al proprio fianco, in ruoli cardine, persone di comprovata fiducia: uno spoiling system declinato alla salernitana. Ma stavolta paga l’uso disinvolto di un’altra espressione anglosassone: project manager.

L’inchiesta sulla Provincia. A proposito di project manager, i giudici hanno ritenuto inapplicabili al caso specifico gli esempi portati dalle difese di altri casi di applicazione di questa figura al sistema della pubblica amministrazione, compreso quello citato più volte da De Luca in occasioni pubblica di Sara Caropreso per la realizzazione dell’ospedale unico della Valle del Sele: i decreti di nomina indicati dai legali “non paiono prevedere la nomina di un project manager distinto dal Rup in seno alla stessa procedura”. E sulle nomine per la realizzazione del termovalorizzatore, la magistratura salernitana ha indagato anche quando l’incarico è passato alla Provincia: l’indagine è stata poi archiviata perché “a differenza di quanto avvenuto presso l’amministrazione comunale salernitana, l’amministrazione provinciale non aveva mai usufruito della figura del project manager”.

La stategia del silenzio. Ma c’era davvero un disegno criminoso? A parere dei giudici c’era, da parte degli imputati, la consapevolezza di aver seguito una procedura non corretta. L’ordinanza del 18 febbraio era carente nella motivazione e sia rispetto all’individuazione di una nuova figura che rispetto alla scelta di colui a cui veniva affidato l’incarico. “A giudizio del Tribunale, la spiegazione di quel silenzio va rinvenuta nel fatto che ogni parola aggiunta avrebbe aumentato il rischio di rendere il provvedimento ulteriormente censurabile. Nell’impossibilità di motivare, si era preferito operare una nomina silente”. Meglio il profilo basso, dunque, anche rispetto alla pubblicità data all’atto sul sito del Comune, altra circostanza che – a parere del Tribunale – è tutt’altro che causale. “Tirando le fila del discorso, deve concludersi nel senso che: l’inesistenza di quella figura (project manager, ndr), la totale assenza di motivazione circa la necessità della nomina e la scelta della persona nominata; i rapporti interpersonali strettissimi tra nominante e nominato; il successivo occultamento sul sito web; la presenza all’interno del gruppo (di lavoro, ndr) di persone astrattamente più qualificate; il fatto che il Di Lorenzo, in prospettiva, avrebbe potuto guadagnare una somma ben maggiore di quella liquidatagli sono tutti elementi dimostrativi del fatto che la nomina in contestazione, lungi dall’essere finalizzata a perseguire esclusivamente una finalità pubblica, aveva l’unico scopo di svincolare Di Lorenzo dal gruppo di lavoro e attribuirgli una inventata posizione apicale, con conseguente riconoscimento di una più sostanziosa retribuzione”.

L’atto di accusa. C’è un passaggio, nelle motivazioni della sentenza, che, più di ogni altro, sembra fare a cazzotti con la necessaria correttezza che si richiede ad un pubblico amministratore: “Il Tribunale ribadisce la convinzione che le dichiarazioni rese dagli imputati sin dall’inizio delle indagini abbiano avuto il fine di giustificare in maniera postuma quegli aspetti dolosamente obliterati all’interno del provvedimento”.

©RIPRODUZIONE RISERVATA