«Noi, parcheggiatori abusivi per forza»

Si danno il cambio nelle aree di sosta della città, reclutando anche familiari e conoscenti: storie di droga e disoccupazione

«I miei figli fanno i parcheggiatori abusivi insieme a me, perché anche per loro non c’è altro....». Ha 52 anni Luigi (nome di fantasia) è originario di Avellino, e arrivò a Battipaglia da ragazzo perché credeva che qui avrebbe trovato il futuro che cercava. Non pensava di certo che poi sarebbe finito a fare il parcheggiatore abusivo nell’area di sosta di piazza Rago, alle spalle della centralissima piazza Amendola. D’altronde Luigi un mestiere ce l’aveva: fino a 12 mesi, lavorava per una piccola impresa edile, ma poi è stato licenziato. Ha una moglie disoccupata e due figli, uno 23enne e l’altro di 20, che hanno pure studiato: «Si sono diplomati all’alberghiero, e quando i tuoi ragazzi vanno a scuola devi affrontare un bel po’ di spese...».

Con una mano si tocca spesso la barba, l’altra, la destra, la tiene nascosta nella tasca del giubbotto. «Quando ho perso il lavoro, ho provato a cercare altro, ma a 52 anni è impossibile». E così, alla fine della giornata, Luigi tira la mano fuori dalla tasca, e con essa gli spiccioli racimolati. «Si raccolgono tra i 15 e i 20 euro al giorno, e nei festivi, con un po’ di fortuna, s’arriva ai 35». Luigi parla poco, e si muove ancor di meno, appoggiato con con la schiena a una delle barriere di ferro dell’area di sosta.

Chi si dà un gran da fare, invece, è Paolo (altro nome di fantasia), un omone corpulento, coi capelli ricci gelatinati e un piccolo orecchino al lobo sinistro. Ricorda vagamente Maradona, e Luigi lo prende in giro per questo. E entrambi sorridono amaramente. Ciò che fanno non li rende felici: «Cambierei», dice Paolo, che, come Luigi, ha 52 anni. Parla, e nel frattempo muove le braccia indicando agli automobilisti gli spazi dove parcheggiare. Per paura, o per compassione, o per abitudine, gli lasciano qualcosa ignorando il parcometro funzionante (l’altro è stato vandalizzato). Qualcuno lo saluta chiamandolo per nome: «Mi conoscono tutti – spiega orgoglioso – perché sono nato e cresciuto qui».

Paolo adesso vive nel quartiere Sant’Anna, ma è originario di Taverna. «Ho studiato fino alle medie; poi ho scoperto la droga, e ho provato tutti i tipi di stupefacenti, perché quando inizi vivi solo per la sostanza...». È stato anche spacciatore, e proprio per questo è finito al fresco per la prima volta: «Avevo 16 anni quando mi hanno preso», dice. E in carcere c’è finito un sacco di volte: 12 anni della sua vita li ha passati dietro le sbarre.

«Faccio l’abusivo perché alle spalle ho dodici anni di carcere e trenta da tossicodipendente: nessuno farebbe lavorare uno come me...». Un passato che rimane sulla pelle, anche ora che Paolo ha chiuso con la droga. «Ho smesso di dipendere dalle sostante stupefacenti dopo essere stato alla comunità Emmanuel di Brindisi, e devo tutto ai miei educatori: è grazie a loro che ho imparato ad accettare i no...».

Vorrebbe cambiar vita, Paolo, ma il passato gli si è appiccicato addosso: i viaggi in Marocco per “sballarsi” e comprare la droga, lo spaccio a Firenze nei fine settimana, la voglia di provare ogni tipo di stupefacente. I fantasmi del passato ricompaiono dopo le 20, alla fine del turno, quando Paolo, che non ha famiglia, rimane da solo con sé stesso. Ma ora sono passati venti minuti, e il suo turno serale è iniziato da meno di un’ora, perché fino alle 18 c’era un’altra ragazza, anche lei abusiva. E adesso non c’è tempo per pensare. Bisogna lavorare. Perché per Paolo, come per Luigi, «non c'è altro da fare».

Carmine Landi

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