«Noi, malati per colpa dei fumi tossici»

Nuove testimonianze tra i residenti della zona. Solo a Cologna in questi ultimi anni registrati ben sette casi di leucemia

Come dei cerchi concentrici che si allargano quando si getta un sassolino in uno stagno, così l’eco delle storie provenienti da via della Partecipazione e da via Magna Grecia continua a far emergere casi su casi e a sciogliere le remore. Alte concentrazioni di particolari malattie in un solo civico o in una via; persone apparentemente sane, giovani, robuste bloccate da malattie professionali solo rimanendo chiuse nelle proprie case: la questione dell’inquinamento nella Valle dell’Irno passa di bocca in bocca, arrivando oggi anche a Pellezzano. Storie come quelle della signora Anna Liotta e del signore Raffaele Erbucci, vittime dirette o indirette di malattie che ancora oggi non riescono a spiegare. E poi ci sono loro, i componenti del comitato “Salute e Vita”, Anna Risi ed Ernesto Langella, che hanno posto da sempre in prima linea le loro esperienze per denunciare una condizione di vita non più sostenibile.

«Mia suocera, Lidia Prisco, aveva 73 anni quando è morta,nell’ottobre del 2014 - ricorda la signora Liotta - È stata sempre una persona vivace, iperattiva. Quando le diagnosticarono la leucemia, i medici ci dissero chiaramente che poteva essere riconducibile alle attività industriali. E come non credergli. A Cologna, dove viviamo, in pochi anni vi sono stati sette casi solo di leucemia, senza contare i casi di allergie o di altri problemi alle vie respiratorie dovute alle polveri. In estate non si può stare con i balconi aperti. Le persone di altri quartieri non riescono a capire, dato che non vi abitano. È stato un calvario perchè la leucemia ti lascia lucida. Sai che te ne stai andando».

«Da un giorno all'altro - racconta a pochi chilometri di distanza in linea d’aria Raffaele Erbucci, oggi alle prese con la sua personale battaglia contro la leucemia - la mia vita è cambiata». Commerciante ortofrutticolo a Torrione, Erbucci si chiede come mai solo nelle vicinanze della sua abitazione a Coperchia, frazione di Pellezzano, vi siano stati tanti casi di leucemia. «Nel giro di venti giorni mi hanno segnalato almeno cinque casi - racconta - Io non so da cosa dipenda, non so se siano davvero solo le Fonderie o vi siano altri nessi. Quello che so è che vanno fatte delle indagini e che le industrie, se danneggiano la salute dei cittadini, devono delocalizzare. O chiudere. Mi dispiace per i lavoratori, ma ne va anche della loro salute».

Anemia emolitica autoimmune, trasformatasi poi in un linfoma aggressivo e in metastasi: è questa la diagnosi invece della signora Regina Di Serio, madre di Ernesto Langella, membro attivo del comitato “Salute e Vita”. «La malattia le è stata diagnosticata nel 2006 - racconta Langella - Dopo sei anni di cure e stenti, si è spenta nel 2012 dopo aver vissuto dal 1983 al 2007 in via dei Greci e poi a Coperchia. Ricordo il periodo delle trasfusioni, delle cure contro un linfoma silente di cui venimmo a conoscenza solo tre giorni dopo il suo decesso. Sono un imprenditore, figlio di imprenditori ma so che significa avere il rispetto delle norme e so che il nesso tra l’inquinamento e le attività produttive c’è ma che è difficile da dimostrare. Quello che abbiamo sempre chiesto a Pisano non è di non produrre, ma di rispettare le regole. Cosa che, considerando anche le ultime inchieste della Procura e i risultati dell’Arpac, non fa».

Infine c’è la signora Anna Risi, uno dei simboli del comitato, che di persone care ne ha perse ben due, distruggendo praticamente una famiglia. «Antonella era una ragazza piena di vita - racconta l’insegnante - Un giorno ebbe un mal di testa e da lì iniziò il nostro dramma. Dopo una cura di 8 mesi, nell’ottobre del 1998 si spense per una leucemia. Non si è mai abbattuta, non ha mai creduto di non farcela tanto da chiedere al padre i moduli per l’iscrizione alla facoltà di Biologia. Due settimane dopo, il 22 ottobre, se ne andò. Dieci anni dopo, nel settembre del 2008, la raggiunse mio marito Vito, per un tumore al cervello a soli 54 anni. Ricordo solo che in entrambi i casi i medici ci chiedevano se abitassimo nei pressi di una fonderia. Non un’attività qualsiasi. Una fonderia. Quando seppi di molti altri casi nella mia frazione, capii che qualcosa non andava».

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