No-com, l’incomunicabilità raccontata in dodici scatti

La rassegna curata da Michele Mari presso l’ex carcere borbonico di Avellino L’autore: «Schiavo della modernità, l’uomo oggi vive come in un isolamento»

SALERNO. Per definire lo spaesamento e lo straniamento favorito da certi spazi anonimi, Marc Augé ha coniato il termine “nonluoghi”. Ma il tema della incomunicabilità nel mondo contemporaneo è molto vasto. Il fotografo salernitano Michele Mari ha voluto indagarlo in tutte le sue contraddizioni. A partire dalla prima, quella che vede al centro del disagio solipsistico il contesto paradossalmente caratterizzato da iperinformazione a tutti i livelli che va ad inficiare anche i rapporti interpersonali. Il progetto fotografico di Mari - culminato in una mostra visitabile fino al 10 agosto presso l’ex carcere Borbonico di Avellino - si intitola “No-com. - incomunicabilità nella società della comunicazione, solitudine nella moltitudine”. Dodici scatti, rigorosamente in bianco e nero, che sintetizzano il paradosso di un mondo iperconnesso, dove gli uomini comunicano a distanza ma non tra i propri simili, superano i confini dei Continenti ma non quelli tra persona e persona, parlano alle moltitudini ma mai veramente ad un interlocutore. «Milioni di immagini, fisse ed in movimento, milioni di informazioni ci passano e ci trapassano - spiega Michele Mari, che è laureato in Discipline Arti Visive Musica e Spettacolo presso l'Università di Salerno - siamo davvero capaci di discernere e selezionare quali sono quelle idonee per operare le scelte giuste e avere la giusta percezione del mondo? L'uomo, nelle metropoli, negli ambienti extra-urbani, nelle città, nei villaggi, nei paesi di montagna, di mare e in campagna, interagiscono ma non comunicano, sono ri-piegati su loro stessi». Così, finisce che ci si parla per sms o mail, pur trovandosi a breve distanza con l'interlocutore, spesso incapaci di intavolare un vero dialogo o di ascoltare. «L'isolamento, la solitudine, possono essere diretta conseguenza di questi comportamenti - prosegue Mari - No-com cerca di essere un piccolo strumento per stigmatizzare l'isolamento degli individui nella società. Credo che attraverso la fotografia si possa imbalsamare il tempo che inevitabilmente riprende a scorrere nel momento stesso che guardiamo quell'immagine». E proprio le immagini catturate dal fotografo in scene di vita quotidiana, raccontano il doppio disagio derivante da solitudine e incomunicabilità. A volte è un'attesa quasi godottiana, alla fermata della metro, altre volte è l'immersione nelle pagine di un giornale, o il contrasto tra la folla e la singolarità di ciascuno che viene come assorbita dalla moltitudine. Anche i luoghi contribuiscono ad ampliare le distanze, essendo spesso concepiti come spazi non identitari o pensati come contenitori di aggregazione privi di contenuti.

Paolo Romano

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