LA DENUNCIA

Nell’ex fabbrica di Battipaglia coppiette e drogati 

Il vecchio materassificio in via Catania dovrebbe essere gestito dai preti che attendono però i fondi confiscati

BATTIPAGLIA. Da industria dei boss ad alcova dei giovani amanti. C’è chi il cancello del vecchio materassificio di via Catania lo scavalca per abbandonarsi alla libidine; c’è chi valica il portoncino per iniettarsi una dose di veleno; c’è chi, in quell’opificio dismesso, sotto un tetto d’amianto e tra i sacchi di pattume abbandonati, ci ricava un giaciglio per la notte. Tutt’intorno, centinaia di battipagliesi che lanciano l’allarme: «Non ne possiamo più…». Di operai edili neppure l’ombra: nelle chiese s’attende un cenno da Palazzo. E in municipio c’è chi parla d’un giro di vite.
Ventuno mesi: tanto è trascorso da quel 19 gennaio 2016 in cui i parroci della città e i commissari straordinari sottoscrissero la convenzione per l’affidamento per 45 anni del bene sequestrato alla camorra. Il polo territoriale della carità avrebbe dovuto veder la luce nella fabbrica sottratta nel 2009 al clan Pecoraro-Renna. «E invece è diventato il polo dell’immondizia, un porcile», commenta Egidio Parmense, il cinquantaduenne che, insieme a Cosimo Panico del Comitato civico e ambientale, aveva mobilitato l’intera contrada Speranzella. «Avevamo raccolto 180 firme per chiedere la rimozione delle lastre d’amianto, ma nessuno è intervenuto».
L’amianto fa paura, ma ora si teme pure per la sicurezza: «Ci sono persone - denuncia Parmense - che scavalcano, e s’appartano, si drogano, ci passano la notte, e molti sono di nazionalità straniera». C’è chi è terrorizzato: «Una signora che ha comprato casa a via Potenza, nel vicolo vicino, è stata minacciata da un uomo extracomunitario che era lì dentro e ora non viene più a dormire qui». C’è tanta amarezza a via Catania: «L’amianto è ancora lì, l’erba è alta e siamo invasi da sacchi di rifiuti, mentre la sindaca e i preti fanno a scaricabarile».
D’un primo intervento di messa in sicurezza i parroci s’occuparono nella primavera del 2016: la convenzione lo imponeva, pena la revoca. «L’amianto va rimosso, ma non è pericoloso, e ce l’ha confermato una ditta», spiega don Michele Olivieri, vicario di forania e parroco di “San Gregorio VII”. E giustifica il ritardo: «Abbiamo parlato con la sindaca, perché ci sono fondi confiscati alla criminalità, destinati proprio alla riqualificazione di beni sottratti alle mafie; a livello regionale vengono ripartiti tra le città, ma spetta ai comuni presentare i documenti, e in municipio ci hanno detto che il procedimento è stato avviato». S’attendono i soldi dei boss per finanziare l’opera, insomma. Don Michele, però, nutre dei dubbi sul malcontento della gente: «Non ricordo simili proteste quando il bene era in altre mani, e allora mi domando se è l’amianto il problema oppure lo è la destinazione dell’immobile alle persone economicamente svantaggiate… ».
In municipio, intanto, c’è chi non vuole perder tempo. «Ho chiesto ai tecnici di fare degli accertamenti su tutti i beni confiscati, perché se non vengono utilizzati il Comune può riprenderseli e riassegnarli», fa sapere l’assessore al sociale Michele Gioia.

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