Nel giro d’affari pure prostituzione e gioco

Una bisca clandestina nel bar Raise di Bellizzi. E all’hotel Blu le stanze del sesso a pagamento

SALERNO. Non solo droga e trasporti. Nell’ordinanza che ha disposto i ventiquattro arresti si ricostruiscono anche un giro di prostituzione e l’organizzazione di una bisca clandestina.

Prostitute e gioco d’azzardo. Entrambe le attività erano gestite secondo gli inquirenti da prestanone che agivano per conto di Sabino De Maio. Di intestazione fittizia di beni sono accusati per questo Rocco Pecoraro ed Ersilio Pierro, titolari a Bellizzi del bar Raise, che secondo la Procura faceva capo al capoclan e nel quale era stato ricavato, in spazi attigui, un locale per il gioco d’azzardo. Vi si praticava soprattutto il poker texano, e i proventi di quelle giocate sarebbero finiti nelle casse del sodalizio criminale guidato da De Maio. Sempre al clan sarebbero andati i soldi versati dalle prostitute che ricevevano i clienti nelle stanze dell’hotel Blu, sulla litoranea di Pontecagnano. Già finito sotto sequetro poche settimane fa, dopo che il giro a luci rosse era stato svelato dalle indagini sull’omicidio della “lucciola” Alina Roxana Ripa, l’albergo viene indicato adesso come una delle attività gestite da Sabino De Maio. Gli intestatari formali, Leopoldo Ferullo e Maurizio Adinolfi, sono ritenuti dagli investigatori poco più che “teste di legno”, titolari solo sulla carta della società “Lm Gestioni” che amministra il complesso turistico “blu hotel”, “Blu mare” e “Blu notte”. Nelle stanze dell’albergo erano ospitate stabilmente almeno quindici prostitute, che pagavano 50 euro al giorno per la loro camera e altri 30 (a carico del cliente) per quella in cui si consumavano i rapporti sessuali. Soldi che per gli inquirenti concretizzano il reato di favoreggiamento della prostituzione e che costituivano un’entrata notevole se è vero, come racconta una delle ragazze, che di clienti c’era chi ne portava quindici a sera e ognuno pagava i suoi 30 euro.

Il ruolo del capoclan. A fare da tramite tra i membri del sodalizio e Sabino De Maio (detenuto per precedenti condanne) sarebbe stata Margherita Ferullo, compagna di De Maio. Tra i partecipi dell’associazione a delinquere figura pure il suo autista personale, Luigi Giuliano. Ed è da un agguato a De Maio che partono, nel gennaio del 2011, le attività di indagine. Si scoprì che era stato lui a incaricare Antonio Mogavero e Mario Langella della spedizione punitiva avvenuta nel luglio del 2010 ai danni di Luciano Fiorillo, con il quale erano insorti contrasti nell’attività di spaccio. Il raid fu eseguito a Bellizzi, i “mazzieri” fratturarono una mano a Fiorillo e danneggiarono una rivendita di frutta. Sei mesi dopo la vittima del pestaggio si vendicò, incaricando due persone (non identificate) di ferire il boss con un colpo di pistola a una gamba. Il proiettile lo colpì di striscio, con una prognosi di soli cinque giorni, ma da quell’episodio i carabinieri iniziarono a indagare ricostruendo prima una fiorente attività di spaccio e poi le estorsioni legate al trasporto su gomma.

Le estorsioni. I Mogavero, soprannominati paccitielli, avevano monopolizzato i viaggi dei prodotti ortofrutticoli della Piana verso il resto d’Italia. . Il 15 luglio 2011, a Pontecagnano, il titolare di un’agenzia concorrente, Alessandro Cataldo, fu gambizzato da due persone poi identificate in Sabino De Maio e Francesco Mogavero. Fino ad allora la sua era stata l’unica società d’intermediazione incaricata di organizzare i trasporti su Roma dei prodotti della Ortomad, ma nei mesi precedenti anche l’amministratore di quella srl era stato minacciato e gli erano state incendiate due auto di grossa cilindrata. Alcune delle intimidazioni erano arrivate tramite il salernitano Massimo Autuori, che aveva fatto leva sull’appartenza di Francesco Mogavero alla camorra. Abbastanza per convincere l’imprenditore ad abbandonare i vecchi rapporti e affidare alla Atm dei Mogaver i viaggi della sua merce verso Roma e il Nord. Un anno dopo, nell’estate del 2012, il pressing di Mogavero e Autuori prese di mira la Napolitrans: «Se vi dovesse chiamare la signora dite che non avete camion disponibili per la Sicilia». Poco dopo tutti i trasportatori minacciati rifiutarono di eseguire il trasporto in Sicilia dei prodotti della ortofrutticola Serena, che erano stati commissionati dall’agenzia di Cataldo, e quest’ultimo vide ridursi da cinque a due i viaggi settimanali verso l’isola. Gli altri li eseguiva la ditta di Massimo Autuori, non più per conto di Cataldo bensì per Mogavero. Stesso metodo fu seguito per i prodotti della Biomaisto, costretta a non caricare più la sua merce sui camion della Napolitrans. Ma gli emissari del clan arrivavano fino alle aziende destinatarie della merce; quando la Ats, che riceveva ortaggi da varie aziende della Piana del Sele, manifestò l’intenzione di interrompere i rapporti con Mogavero in seguito all’aumento dei costi di trasporto, la reazione fu immediata e perentoria: «Può darsi pure che tu quaggiù la merce non la prendi più, però». Il 30 dicembre del 2011, Francesco Mogavero individuò a San Marzano sul Sarmo un automezzo diretto alla Ats e bloccò l’autista: «Mo fatevi il viaggio per capodanno, dal primo gennaio quaggiù non scendi più». Non era nuovo a incursioni nell’Agro nocerino sarnese: nel febbraio del 2012 è il titolare di un’azienda agricola di Sarno a finire nel mirino, perché vorrebbe cambiare agenzia rivolgendosi a una della zona. «Mo vengo là e ti schiatto dentro al muro. Non vemgo stasera, vengo nella scordata è ti schiatto».

Pizzo e rapine. C’erano anche estorsioni non legate al racket dei trasporti. Alcuni del gruppo chiedevano soldi per «le famiglie dei carcerati», rivolgendosi a commercianti, imprenditori edili e gestori di stabilimenti balneari. E infine le rapine con l’uso di pistole: in particolare quella del maggio 2012 nella sala giochi “Casino Boulevard” a Battipaglia, e l’altra di un anno prima in un’abitazione di Giffoni Sei Casali. (c.d.m.)

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