Nanocapsule per i liquidi di contrasto

Due ricercatrici salernitane nel team che ha messo a punto una nuova metodologia per la risonanza magnetica

Addio mezzi di contrasto invasivi e che possono nuocere alla salute del paziente. Dal gruppo di ricerca dell’Istituto italiano di tecnologia di Napoli nasce Kyme, una start up innovativa che, sfruttando le nanoparticelle, consentirà di superare gli attuali limiti dei mezzi di contrasto nella diagnostica per immagini. L’idea, sulla quale ha lavorato per quattro anni il team del professore Paolo Antonio Netti, direttore del “Center for Advanced Biomaterials for Healthcare”dell’Istituto italiano di tecnologia di Napoli e professore di Bioingegneria dell’Università degli studi di Napoli Federico II, è stato recentemente premiato con un assegno di 50mila euro da BioUpper, l’iniziativa promossa da Novartis e da Fondazione Cariplo a sostegno dei giovani talenti.
Nel team, composto da quattro ingegneri, ci sono anche due salernitane: la 28enne Maria Russo, ingegnere biomedico originario di Giffoni Sei Casali e la 35enne Enza Torino, ingegnere chimico e ricercatrice.
«Come molte buone idee – spiegano i componenti del team campano – anche la nostra nasce dalla volontà di mettere le nostre competenze a servizio di un bisogno sociale. Infatti, nonostante il largo impiego clinico dei mezzi di contrasto per risonanza magnetica, essi possiedono ancora numerosi limiti dovuti agli effetti collaterali, all’assenza di selettività verso organi o specifiche patologie e scarse performance riguardanti la risoluzione delle immagini. La nostra soluzione prevede l’inclusione degli attuali mezzi di contrasto usati in risonanza magnetica in nanocapsule iniettabili costruite con polimeri biocompatibili. Questo approccio consente di evitare l’esposizione del mezzo di contrasto nei tessuti e ridurre di circa dieci volte la dose somministrata per ogni analisi».
Il nome Kyme deriva dal nome greco dell’antica città di Cuma, (Kumē), dove è ancora oggi possibile visitare l’antro della Sibilla, luogo in cui divulgava i suoi oracoli. Ispirata dalla storia di Cuma, Kyme vuole rendere disponibili dettagli anatomici altrimenti non accessibili con i mezzi di contrasto attualmente in uso negli ospedali e nei centri diagnostici pubblici e privati.
Vedremo presto questa tecnologia applicata alla medicina? «La partecipazione ad ulteriori competizioni – spiegano i componenti del team– ci permette di rafforzare sempre di più le nostre competenze in ambito imprenditoriale. Contemporaneamente, proseguirà la nostra attività di ricerca e sviluppo nel campo della nanomedicina e nell’ottica del miglioramento continuo del prodotto, proposto dal modello di business della start up. Siamo alla ricerca di investitori nazionali ed internazionali per proseguire con la sperimentazione clinica e la validazione successiva del prodotto per poterlo presentare sul mercato».
In tutto i progetti premiati da BioUpper, la prima piattaforma italiana di training e accelerazione che supporta nuove idee di impresa nel campo delle scienze della vita, sono stati tre. Oltre a Kyme, l’assegno da 50mila euro è andato anche a Postbiotica, progetto lombardo – che sviluppa nuove terapie a base di derivati di batteri, ottenute grazie a un innovativo metodo di fermentazione, per prevenire e curare in modo naturale un ampio spettro di infiammazioni: dalle reazioni allergiche alle malattie croniche dell’intestino e del tratto uro-genitale – e Probiomedica, progetto toscano che offre un’innovativa fototerapia per la cura dell’infezione da Helicobacter pylori, studiata per i pazienti antibiotico-resistenti, che rappresentano circa il 25 per cento del totale.
Il dispositivo è una capsula ingeribile che, una volta giunta nel tratto gastrico, eradica il batterio emettendo luce ed evitando così gli effetti collaterali dell’attuale terapia antibiotica.
Mattia A. Carpinelli
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