LA DENUNCIA

Mariella Pasca: «Scuola Medica, il museo a Salerno va chiuso» 

L'ex funzionaria della Soprintendenza: «Apparecchiature rotte, il progetto non è stato mai completato»

SALERNO. È stato un caso, la necessità di un’informazione a riportare Mariella Pasca, ex funzionaria della Soprintendenza, a rientrare, 6 anni dopo la pensione, in quel Museo virtuale della Scuola medica salernitana, in via dei Mercanti, che lei stessa aveva ideato e diretto. Un ritorno che definire amaro è un eufemismo perché di quell’idea così innovativa, rigorosa dal punto di vista tecnico e della ricostruzione scientifica non è rimasto che un triste simulacro con i video delle miniature animate in 3D che non funzionano più con il tridimensionale e i monitor fusi perché non c’è aria condizionata. Ed è con la rabbia e l’indignazione di chi ha visto quel progetto crescere e realizzarsi che Mariella Pasca afferma: «È vergognoso, quel museo va chiuso».
Perché sostiene che vada chiuso?
È vergognoso proporre al pubblico, a quasi dieci anni dal l’inaugurazione, soltanto una narrazione monca che, al tempo, era solo il primo segmento di un progetto più esaustivo che avrebbe inserito la Scuola Medica nel più ampio contesto cittadino. Non solo il museo non è stato completato da chi è venuto dopo di me, ma addirittura negli anni è stato mutilato per l’obsolescenza e la rottura della costosa strumentazione informatica che è rimasta priva di manutenzione e non è mai stata riparata.
Il progetto, quindi, non è stato mai concluso in questi sei anni?
La Soprintendenza non solo non ha inteso completare un progetto già definito, che prevedeva postazioni di approfondimento per sostanziare di un supporto scientifico le narrazioni presenti. Ma, al contrario, sembra essersi voluta frettolosamente sbarazzare di questo piccolo spazio narrativo consegnandolo alla Fondazione Scuola Medica Salernitana attraverso una convenzione scorretta e svantaggiosa per la Soprintendenza.
In che senso?
La Soprintendenza ha mantenuto, nonostante la nota esiguità di fondi, l’onere della manutenzione della strumentazione informatica e della presenza di risorse umane, cioè i costi più consistenti, lasciando alla Fondazione – che peraltro incassa i biglietti – l’onere delle utenze. Si tratta delle bollette della luce, visto che il consumo di acqua in un museo non è certo rilevante e che anche la “pulizia” lascia a desiderare. Io stessa ho avuto modo di notare un piccolo cimitero di ventilatori e stufe vecchie che nessuno si premura di rimuovere. Inoltre, è stata staccata la linea telefonica per mancato pagamento delle bollette. E, comunque, la Fondazione prende tre euro a biglietto per far vedere, in un ambiente degradato, quattro filmati che potrebbero essere messi su un cd o sul sito del Museo (se la Soprintendenza sa di averlo). E c’è un altro rilievo che farei alla sciagurata gestione della Soprintendenza.
Quale?
Di non aver voluto, ingiustamente, utilizzare per l’accoglienza i giovani che io stessa avevo formato tra i ragazzi che avevano svolto stage presso di noi, grazie ai quali sono state possibili tante iniziative e aperture straordinarie. Al momento di andare – felicemente – in pensione avevo anche promosso un’associazione che potesse poi continuare a collaborare con il museo ma la dirigenza di allora non si mostrò minimamente interessata. Anche il ruolo della Fondazione parrebbe discutibile Quando ero ancora in servizio si occupava, oltre che del Giardino della Minerva, anche del museo Papi che con la scuola medica e con la città di Salerno c’entra veramente poco visto che, la maggior parte della collezione, riguarda una lunga e noiosissima sequenza di strumenti chirurgici appartenenti al secolo scorso, tranne pochissimi esemplari più antichi, ma sicuramente non abbastanza da essere significativi per la storia della scuola medica salernitana. Non so se questo museo esiste ancora, speriamo che i soldi dei biglietti del museo virtuale non servano a mantenerlo.
Che cosa la indigna di più?
Nei giorni scorsi si è tenuto un interessantissimo convegno all’Università di Salerno su “Narrazioni urbane memoria e intermedialità” durante il quale è stata ringraziata la Soprintendenza per aver ospitato nel museo virtuale, in una precedente iniziativa (“Beni culturali e innovazione”), una postazione informatica che illustrava i percorsi storici cittadini. Esattamente ciò che la Soprintendenza, durante la mia direzione, aveva deciso di fare all’interno del Museo. Questo era, infatti, il progetto rimasto sulla carta. Dunque, la Soprintendenza, invece di limitarsi ad offrire uno spazio, avrebbe potuto fare e non ha fatto sprecando soldi, lavori e ricerche già realizzati, progetti pronti e risorse umane formate. L’abbandono regna sovrano. Perciò, chiudiamo quel museo.

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