IL NODO REMS

Malati di mente liberi di colpire a Salerno

Da venti giorni il giudice ha ordinato il ricovero di due persone, ma le residenze per le misure di sicurezza non hanno posti

SALERNO. Per i giudici sono persone “socialmente pericolose”, tanto che ne è stato ordinato l’immediato ricovero in Rems, le residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza, che di recente hanno sostituito gli ospedali psichiatrici giudiziari. Eppure dall’emissione di quelle ordinanze sono già passate più di due settimane e altre rischiano di doverne trascorrere ancora, perché nelle Rems della Campania il posto non c’è e risposte negative stanno arrivando anche dalle altre residenze che il Ministero della Giustizia sta contattando in tutta Italia.
È il corto circuito di una normativa approvata nel 2014 e che a fine 2016 ha visto concludersi la fase transitoria, con la chiusura degli Opg e l’affidamento dei pazienti alle nuove strutture che dovrebbero garantire un’assistenza più attenta e, soprattutto, un percorso di riabilitazione. Si tratta di contemperare due esigenze: da un lato la cura della malattia psichiatrica, dall’altro la difesa sociale. Ma quando gli intenti cozzano contro i numeri, e i posti nelle residenze non bastano, il meccanismo salta. Così ci si trova davanti al paradosso che si sta sperimentando in questi giorni nel Palazzo di giustizia di Salerno, in difficoltà ad attuare due ordinanze firmate, rispettivamente, il 20 e il 25 settembre. Destinatari sono un uomo e una donna, autori di condotte violente che sono state ritenute frutto di una patologia mentale e tali da potersi ripetere, da un momento all’altro, se agli autori non viene prestata quell’assistenza continua e in qualche modo coatta che solo un ricovero è in grado di garantire. L’esecuzione della misura, però, si è scontrata con i numeri. Quelli, appunto, dei posti letto. Le quattro Rems della Campania (a San Nicola Baronia nell’Avellinese, Mondragone, Vairano Patenora e Calvi Risorta in provincia di Caserta) hanno risposto di essere al completo. Sono state le prime ad essere contattate dalla Procura, in base al principio di regionalizzazione posto dalla stessa normativa per provare a evitare l’allontanamento del paziente dal territorio di origine, dove si presume abbia legami familiari e altri contatti che potrebbero supportarlo nel percorso di psicoterapia. Poi del caso è stato investito il Ministero della Giustizia, che ha inviato una richiesta ad altre quindici strutture lungo tutta la penisola: ma finora soltanto due hanno risposto (spiegando di non avere spazio) mentre per le altre si è ancora in attesa. Così a giudici e Procura non resta che incrociare le dita, sperando che nel frattempo di un riscontro positivo non si verifichino altri episodi di violenza.
D’altronde i segnali di conti che non tornano erano arrivati nei mesi scorsi anche da altri tribunali, tanto da indurre il Consiglio superiore della magistratura a un monitoraggio che aveva dato risultati insoddisfacenti proprio sul numero dei posti letto disponibili. E se da un lato non si riesce a eseguire con tempestività le misure di sicurezza (con buona pace della difesa sociale), l’altra faccia della medaglia è che alcuni detenuti che potrebbero lasciare il carcere per le Rems sono invece obbligati a restare in cella, lasciando così sulla strada anche l’altra esigenza che la legge vorrebbe perseguire: la terapia della patologia psichiatrica, con un’assistenza umanizzata e la fine di quelli che la stessa ministra della salute, Beatrice Lorenzin, ha definito “ergastoli bianchi”.
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