Maiori, le portatrici di limoni simbolo del lavoro delle donne

Immagini d’epoca: domani gratis con “la Città” la terza cartolina della raccolta Uno scatto che immortala un tempo che non c’è più, cancellato dal cemento

Continua l’inimitabile collezione di foto d’epoca che ritraggono panorami mozzafiato della Costa d’Amalfi. Una iniziativa che sta diventando un vero e proprio appuntamento irrinunciabile non solo per chi è amante delle foto d’epoca. E domani in edicola la macchina del tempo fotografica fa tornare alla memoria la Maiori di inizio 900, quando la cittadina era un’oasi tra il verde e il mare, e il cemento era praticamente sconosciuto. Così sul lungomare del paese sono state immortalate le portatrici di limoni che in abiti tipici, con le ceste cariche, appoggiate tra il collo e la nuca, trasportano il prezioso carico. Già, perché il caratteristico sfusato amalfitano, il limone del comprensorio amalfitano, era la principale fonte di reddito del paese, il “bene” che veniva commercializzato ovunque, con i “bastimenti” che arrivavano da ogni parte d’Europa per caricare la preziosa merce. E Maiori, tra le “sorelle” della Divina, era la maggior produttrice dello sfusato. Non per niente, là dove la cementificazione selvaggia e senza regole degli anni Cinquanta e Sessanta ha fatto sorgere, a ridosso del mare e sulla principale passeggiata della città, tanti palazzoni, c’erano giardini dove veniva coltivato il prezioso agrume. Il boom turistico, poi, assieme a quello edilizio, ha fatto sì che man mano questa economia andasse perdendo sempre più appeal, soprattutto per gli alti costi di produzione e di trasporto che, oggigiorno, rendono per tanti la coltivazione alquanto improduttiva. E, dunque, mai come in questo caso, il “ritratto” fotografico è proprio d’epoca e raffigura una Maiori che, purtroppo, non c’è più. «A guardare oggi questa cartolina – evidenzia Antonio Amato, giornalista e autore de il libro “Cronache di uno scempio-La Costiera amalfitana” - il primo pensiero che mi viene in mente e che è cambiato proprio tutto, che ciò che apparteneva al passato è stato stravolto, a parte la fatica delle donne». Nessuno come Amato può testimoniare i cambiamenti di una cittadina che, improvvisamente, dall’essere dedita all’agricoltura e alla pesca, si è trasformata, nel giro di pochi anni, in un polo turistico. “La ruota della storia – evidenzia Amato - gira ancora all’indietro o su se stessa come una trottola. Le generose fatiche delle donne sono, ieri come oggi, il sale della terra. E, mai come altre volte, questa foto mette in risalto l’antico e nobile cuore sofferente delle donne maioresi , che coltivavano un sogno, che mi auguro che anche le signore di oggi continuino a coltivare».

Chissà se quel sogno sarà stato realizzato, fatto sta che sicuramente quel panorama adesso non c’è più e l’ambiente circostante è stato definitivamente ed irreparabilmente sfigurato, in onore del progresso. Come quel chilometro di spiaggia, compreso tra una vecchia Torre di guardia ed un Castello che rievoca lo stile di quello della Loira, dove l’8 settembre del 1943 sbarcarono le truppe anglo americane. A dare una mano all’improvviso colpo di spugna, con cui venne cancellata la “vecchia” Maiori, fu la violenta e luttuosa alluvione del 1954. Da allora, infatti, il cemento ha fatto la sua prepotente comparsa e, oggi, la cittadina conta un considerevole numero di alberghi, residence, case vacanza e b&b, che mettono insieme circa novemila posti letto. Sulle colline, i rioni ed i casali, tuttavia, custodiscono ancora tanti ricordi, segnano i secoli e testimoniano ancora la storia, la religiosità, l’arte il folclore della “Città Regia”, come ebbe a nominarla Filippo IV di Spagna.

Gaetano de Stefano

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