Magliacano aveva altri diciassette proiettili 

Baronissi: all’assassino di Capacchione contestato l’omicidio premeditato. Resta da chiarire il movente dell’aggressione

BARONISSI. Per la Procura ha premeditato l’assassinio del sessantatreenne Biagio Capacchione: si aggrava la posizione investigativa di Vincenzo Magliacano. E la contestazione dell’omicidio aggravato potrebbe non essere l’unico elemento di novità nell’inchiesta sulla tragedia di Baronissi: sotto esame degli inquirenti c’è anche il ritrovamento di 17 di colpi a pallettoni trovati al meccanico, ben oltre quelli necessari per uccidere una sola persona.
Sono ore di lavoro per gli inquirenti della procura di Nocera Inferiore e dei carabinieri della compagnia Mercato San Severino, che indagano sull’assassinio dell’imprenditore Biagio Capacchione, commesso giovedì scorso sotto casa della madre in via Trinità a Sava, frazione di Baronissi. Il pm Angelo Rubano, che dirige l’inchiesta condotta dai carabinieri al comando del maggiore Alessandro Cisternino, ha contestato al reo confesso non solo l’aggravante della premeditazione, ma anche quella di aver commesso un reato per perpetrarne un altro. Magliacano è indagato pure per il porto in luogo pubblico del fucile calibro 12 Fias a canne sovrapposte (legalmente detenuto) e per l’appropriazione indebita della Lancia Delta di proprietà di un cliente della sua officina che gliela aveva lasciata in riparazione.
Disposto intanto per questa mattina il conferimento incarico per l’autopsia sul cadavere di Capacchione e la convalida dell’arresto dell’indagato, avvenuto dopo poco più di sei ore in zona Caprecano di Baronissi. Il pm, all’uscita dalla caserma di carabinieri di Mercato San Severino, aveva dichiarato di avere un quadro tutto sommato chiaro di quanto accaduto e che l’arrestato aveva «avuto un comportamento collaborativo», ma comunque continua l’inchiesta per scoprire altri elementi. Da chiarire, tra l’altro, quei colpi in più che aveva con sé l’assassino e a cosa dovessero servire: se aveva, cioè, l’intenzione di utilizzarli contro di sé o altri bersagli. Elementi che rischiano di aggravare la posizione già grave del meccanico che potrebbe rischiare fino una condanna all’ergastolo se arrivasse davanti a una Corte d’Assise.
Il problema chiave di questa indagine è chiarire il movente dell’omicidio. Bisogna rispondere alla domanda perché un uomo, titolare di un’azienda, si arma del fucile che utilizza per andare a caccia, lo carica a pallettoni e attende un imprenditore con il quale era legato da un rapporto di collaborazione (anche se risalente negli anni) ed è suo figlioccio – Capacchione era il padrino di cresima di Magliacano – e lo ammazza. Le loro due aziende erano realtà diverse. Il gruppo Capacchione, infatti, occupa un centinaio di dipendenti con più imprese, tra le quali la più nota è la Cimep di Fisciano attiva nella riparazione e vendita di automobili. Più piccola l’officina dell’assassino, ma che comunque dava da lavorare a diverse persone. Di mezzo ci sarebbero dei rancori, sembra unilaterali, per l’assistenza ad alcune ambulanze, risalenti al 2013-2014.
«Dopo aver ammesso le sue responsabilità nell’omicidio, attendiamo, ove lo riterrà opportuno il mio assistito, le sue dichiarazioni nell’ambito dell’interrogatorio di garanzia per comprendere le motivazioni che hanno spinto un onesto lavoratore a compiere un gesto così eclatante e grave – ha affermato l’avvocato Massimo Ancarola che difende Magliacano - . Bisognerà, però, accertare se vi siano eventualmente profili di disagio personale che possano averlo indotto a tanto». Il cinquantasettenne meccanico pare fosse stato curato per una depressione negli ultimi tempi, una circostanza che potrebbe essere utile a tracciare un contesto investigativo più a lui favorevole.
Salvatore De Napoli
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