Lo scrutinio segreto tradisce l’inciucio Ora è tutto da rifare 

L’accordo a quattro in tilt su un emendamento minore Il tabellone “smaschera” i franchi tiratori di tutti i partiti

ROMA . «Oggi la legge elettorale è stata affossata per una cosa meravigliosa. Chiedevamo una legge uguale per tutta l’Italia, c’è stata una mozione e non vi dico chi ha detto “non la vogliamo uguale per tutta l’Italia, la vogliamo diversa per il Trentino”. E allora io ho detto “andiamo tutti in Trentino”». Così Beppe Grillo ad Asti per un appuntamento in vista delle amministrative di domenica. «Ho tutte le risposte – ha detto Grillo arrivando – ma la mia grande soddisfazione è non darle. Dovete avere un po’ di immaginazione e inventarvi quelle che potrei dire. È bellissimo».
Una giornata caotica. Alla fine salta il patto tra Pd, M5S, Fi e Lega. Nella tarda mattinata di ieri il dem Emanuele Fiano scandisce: «La legge elettorale è morta, e l’hanno uccisa i 5 Stelle». Non promette niente di buono. Fiano è il relatore della riforma e parla dopo la débâcle in Aula dell’accordo dei quattro partiti per la vicenda del voto a scrutinio segreto che per un attimo si è svelato, rivelando a tutti chi ha votato cosa, e smascherato i molti franchi tiratori. Ma i grillini lasciano una porta aperta: «Da irresponsabili far cadere la legge elettorale per colpa del Trentino» dichiara Roberto Fico, riferendosi all’emendamento diventato il casus belli di una giornata politicamente complicata. E ribalta le accuse ai dem. La segreteria Pd sancirà nel primo pomeriggio che «l’accordo è saltato, facciamo le amministrative e poi sulla nuova legge elettorale si vedrà», così le parole di Richetti, mentre il testo della legge modello tedesco che ormai in tanti danno per spacciata torna in commissione. In serata poi il Quirinale ha fatto sapere che c’è «preoccupazione», il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha seguito «con molta attenzione» l’attività parlamentare e lo stallo del «dialogo avviato su una legge elettorale condivisa». Ora si attende che martedì la commissione decida se e come procedere sulla riforma. Il Capo dello Stato non dispera che una legge si possa comunque varare, e intanto al di là delle drammatizzazioni, registra che al momento nessuna forza di maggioranza ha fatto discendere alcuna conseguenza sul suo sostegno al governo dalle fibrillazioni di oggi. Resta poi confermata la posizione sul decreto in materia elettorale, che potrà essere varato solo a ridosso della fine della legislatura e solo su aspetti tecnici, certamente non su nodi politici.
Resta invece immutata la linea già consolidata al Quirinale su un eventuale decreto in materia elettorale: a dispetto dei tanti rumors, solo la Lega finora ha ufficialmente chiesto il varo di un tale provvedimento. Ma per il Quirinale un decreto sarà possibile solo a ridosso della fine naturale della legislatura, che da calendario sarebbe tra otto mesi, e solo su aspetti tecnici che portino a una omogeneizzazione delle leggi elettorali di Camera e Senato. Un decreto su aspetti politici della legge elettorale, cioè sul suo impianto, è al momento decisamente escluso. Al di là della preoccupazione sul clima che si è creato ieri a Montecitorio, comunque, la valutazione che viene fatta riguarda l’esecutivo. Ora si tratta di capire quanto le fibrillazioni di queste ore si ripercuoteranno anche sulla vita dell’esecutivo, ma si confida in un tratto di responsabilità. Non è un caso che proprio oggi in un messaggio a Confcommercio, il Capo dello Stato, parlando della nostra economia, abbia sottolineato come «i segnali positivi vadano rafforzati». Insomma, le condizioni per proseguire nel programma ci sarebbero ancora e i dati positivi di questi giorni dal fronte dell’economia lo dimostrano. Ora le forze politiche sono davanti a una scelta, e il Capo dello Stato attende le loro decisioni.
Ma di chi è la colpa. Per i pentastellati le responsabilità sono da attribursi ai parlamentari del Partito democratico. «La legge elettorale è morta. La maggior parte degli esponenti del Pd hanno tradito il proprio partito nel voto segreto» dice Danilo Toninelli a Otto e mezzo. Per Toninelli «non si deve parlare di decreto sulla legge elettorale! Salvini dice a Gentiloni e Renzi – quelli che hanno fatto l’Italicum bocciato dalla Consulta – di fare un decreto? Forse non è molto attento. La legislatura ormai è finita, andiamo ad elezioni. Mi spiace per Mattarella ma non c’è nulla che si possa fare». Ad affossare la legge è stato un emendamento apparentemente innocuo a prima firma Michaela Biancofiore (Fi), uguale per contenuto a un altro emendamento del Movimento 5 Stelle, relativo alle elezioni in Trentino. A sorpresa i 5 Stelle annunciano il voto a favore e così l’emendamento viene approvato, nonostante il parere negativo del relatore. E parte la caccia al responsabile. «La legge elettorale è morta e l’hanno uccisa i 5 Stelle». Il Pd non ha dubbi, la responsabilità è dei pentastellati, che «hanno usato un espediente per far fallire la riforma», afferma Ettore Rosato. Ma rintracciare il “colpevole” non è facile, anche perché la votazione alla Camera è stata a scrutino segreto. O quasi. Il voto è, infatti, segnato da un piccolo giallo: il tabellone elettronico che campeggia nell’emiciclo di Montecitorio e dal quale è possibile vedere come votano i singoli deputati, al momento della prima votazione sull’emendamento non “nasconde” – come invece dovrebbe fare – le lucette colorate che indicano se il voto è stato favorevole, contrario o di astensione. Scoppia subito la bagarre in Aula, la presidente Boldrini parla di «disguido tecnico» e avvia una nuova votazione. Ma ormai è il patatrac, tutti contro tutti. Alla fine sono 59 i franchi tiratori, esclusi i voti dei 5 Stelle, che hanno contribuito ad affossare il patto a 4 sulla legge elettorale. Rosato si alza e tuona contro i grillini: «La vostra parola non vale nulla», ripetendolo tre volte. Parte la controffensiva dei pentastellati: «I franchi tiratori sono del Pd». A godere è Angelino Alfano (Ap) ma tende a non dimostrarlo: «Siamo di fronte a un fallimento clamoroso, le cui responsabilità sono sotto gli occhi di tutti. Su queste responsabilità sarebbe facile infierire e, dunque, non lo faremo».
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