Le rivelazioni su cene e comizi elettorali I difensori: «Falsità»

I pentiti: «Aiuti sin dal 2001. Mani al collo per gli appalti» Gli avvocati smentiscono: «Mai fatto favori ai criminali»

SCAFATI. Davanti al tribunale del Riesame il braccio di ferro tra Procura e avvocati ha visto da un lato sette verbali d’interrogatorio, le foto di schede elettorali fotografate nei seggi e una relazione integrativa a sostegno delle accuse; dall’altro una lunga memoria in cui i difensori Agostino De Caro e Antonio D’Amaro hanno provato a smontare le ricostruzioni dei collaboratori di giustizia.

A parlare, negli atti depositati dal pubblico ministero Vincenzo Montemurro, sono tra gli altri i “pentiti” Pasquale e Alfonso Loreto, Romolo Ridosso, l’imprenditore Nello Longobardi, l’ex consigliere comunale Raffaele Lupo, il presidente del consiglio Pasquale Coppola, il collaboratore di giustizia Saverio Tammaro. È quest’ultimo a retrodatare fino al 2001 i presunti contatti di Pasquale Aliberti con la criminalità organizzata: «Salvatore Ridosso mi disse “è un caro amico, adesso si candiderà a sindaco, farà politica quindi lo dobbiamo aiutare, possiamo fare cose buone con lui». Quella mano gliela avrebbero data poi in maniera sostanziale gli eredi del clan alle comunali del 2013 e per le regionali del 2015, quando fu eletta la moglie Monica Paolino. Romolo Ridosso conferma di aver svolto campagna elettorale anche per lei, e che Luigi Ridosso aveva finanche organizzato un comizio davanti a un’abitazione di famiglia. Alfonso Loreto aggiunge che ad accompagnarvi le persone sarebbe stato il suo autista, Giovanni Mediato, cognato di quel Ciro Petrucci di cui avevano ottenuto la nomina nella municipalizzata Acse. Quell’incarico sarebbe servito a fare ottenere appalti alle aziende del clan, ulteriore favore oltre all’assunzione di Andrea Ridosso in una cooperativa che lavorava per il Piano di zona. Si parla poi di pranzi e cene con al tavolo esponenti della famiglia Aliberti insieme ai camorristi, e di un episodio in cui Luigi Ridosso avrebbe messo a Nello Aliberti le mani al collo, minacciandolo di morte per stare tergiversando sull’affidamento di alcuni appalti.

La difesa continua a sostenere che le dichiarazioni dei “pentiti” sono contraddittorie, riferiscono fatti appresi in buona parte da altri e sarebbero smentite da una condotta del sindaco che negli anni avrebbe dato prova di voler ostacolare gli affari della camorra. Per i difensori è sì vero che il curriculum di Andrea Ridosso è stato ritrovato nella stanza del sindaco, ma «insieme ad altri trecento». E l’insussistenza di un patto per scambiare voti con appalti sarebbe evidenziata dal fatto che Roberto Barchiesi, consigliere eletto dai Ridosso-Loreto, «non aiuta il clan dopo essere eletto, tanto da venire minacciato e poi picchiato». Sui rapporti nel 2008 con i Sorrentino (cosiddetto clan dei Campagnuoli) si sottolinea poi che il Comune destinò a finalità pubbliche proprio un immobile sottratto a quel sodalizio. Argomenti che non hanno convinto il Riesame. E lo scontro, adesso, si sposta in Corte di Cassazione. (c.d.m.)

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