la storia

Le mozzarelle di “Sandokan” e i ristoranti della camorra

ROMA. «Dalle infiltrazioni nel settore ortofrutticolo del clan Piromalli all’olio extra vergine di oliva di Matteo Messina Denaro fino alle imposizioni della vendita di mozzarelle di bufala del...

ROMA. «Dalle infiltrazioni nel settore ortofrutticolo del clan Piromalli all’olio extra vergine di oliva di Matteo Messina Denaro fino alle imposizioni della vendita di mozzarelle di bufala del figlio di Sandokan del clan dei Casalesi e al controllo del commercio della carne da parte della ’ndrangheta e di quello ortofrutticolo della famiglia di Totò Riina, i più noti clan della criminalità si dividono il business della tavola». È quanto afferma la Coldiretti che, in occasione della presentazione del rapporto #Agromafie2017, ha allestito una “tavola delle cosche” coi prodotti frutto dei business specifici dei diversi clan. Solo nell'ultimo anno - ricorda Coldiretti - le forze dell’ ordine hanno messo a segno diverse operazioni contro personaggi di primissimo piano della malavita che hanno deciso di investire ed appropriarsi - sottolinea la Coldiretti - di vasti comparti dell’agroalimentare e dei guadagni che ne derivano, distruggendo la concorrenza e il libero mercato legale e soffocando l’imprenditoria onesta. Il risultato è la moltiplicazione dei prezzi che per l’ortofrutta arrivano a triplicare dal campo alla tavola, ma anche pesanti danni di immagine per il Made in Italy in Italia e all’estero se non rischi per la salute.

Agli inizi di febbraio, per esempio, i carabinieri hanno arrestato Walter Schiavone, figlio capoclan Francesco “Sandokan”. L’accusa - spiega la Coldiretti - è di imporre la fornitura di mozzarella di bufala Dop prodotta da un caseificio di Casal di Principe a distributori casertani e campani, ma anche in altre parti d’Italia, come in Calabria. A giugno la Finanza mette a segno un blitz - continua la Coldiretti - contro il clan camorristico Lo Russo. La cosca aveva il monopolio della distribuzione di pane e l’imposizione del prezzo di vendita, a grossi supermercati, a botteghe e agli ambulanti. Non c’è pace neppure a Roma dove a maggio 2016 i carabinieri sequestrano beni per 80 milioni di euro tra i quali bar, ristoranti, pizzerie a quattro imprenditori, ritenuti coinvolti in traffici gestiti dalla camorra. Tutti i locali si trovano nel salotto buono di Roma, dalla zona di piazza Navona a quelle cosiddette “bene”. La ristorazione, infatti, è forse il campo preferito degli agromafiosi. In alcuni casi le mafie possiedono addirittura franchising e catene di ristoranti. Nelle loro mani oltre 5.000 locali.