L'INCHIESTA

Le mani dei clan torresi e stabiesi sul mercato del pesce di Salerno

Cosche del Napoletano controllano ditte e stand della vendita all’ingrosso a Salerno. Riciclaggio e intestazioni fittizie, la Dda ha chiuso un’inchiesta con 17 indagati

SALERNO - Da Castellammare di Stabia e Torre Annunziata la camorra allunga le sue mani sul mercato ittico di Salerno. La Direzione distrettuale antimafia ha chiuso il cerchio su un’inchiesta con 17 indagati, tra cui i vertici del clan stabiese D’Alessandro ed esponenti di quello oplontino Gallo/Cavalieri. Sarebbero riusciti, tramite imposizioni e prestanome, a mettere le mani su tre postazioni del mercato salernitano del pesce, incrementando un giro d’affari che già aveva trovato nel comparto ittico uno dei principali canali d’investimento, con interessi anche in Veneto e in Grecia.
Il sostituto procuratore Vincenzo Montemurro ha chiuso le indagini ricostruendo un meccanismo che, dal 2012, avrebbe consentito a esponenti dei sodalizi criminali di assumere il controllo di aziende di distribuzione all’ingrosso operanti a Salerno. L’infiltrazione avveniva di regola con l’imposizione di dipendenti, che poi finivano per assumere la direzione delle attività e rispondevano agli ordini dei clan. Caso emblematico è ritenuto quello di un’azienda della Valle dell’Irno, che nel giugno di cinque anni fa assume con il ruolo di contabile Valeria Girace, cognata del boss Michele D’Alessandro. Da quel momento il vecchio proprietario inizia a essere messo nell’angolo, mentre la gestione passa di fatto nelle mani della Girace e dei suoi familiari, che un anno dopo impongono l’assunzione di un altro dipendente, Antonio Verdoliva di Boscoreale, e l’impiego di personale di loro fiducia tra cui gli inquirenti hanno individuato il salernitano Giuseppe Ragone. Tutto sarebbe avvenuto sotto le direttive di Michele D'Alessandro, che dal carcere, dove sconta una pena definitiva per usura, avrebbe continuato a reggere le fila dell'organizzazione tramite la moglie Giovanna Girace, che a ogni colloquio rapportava sull’andamento degli affari compresi quelli legati al comparto ittico.
L’imprenditore salernitano, relegato al ruolo di mero intestatario formale della società, era finito da principio lui stesso nella lista degli indagati, sospettato di avere dato il suo consenso a un’intestazione fittizia. Il prosieguo delle indagini ne ha poi rivelato il ruolo di vittima, al pari di un collega irpino la cui azienda era finita invece nell’orbita di Nunzio Palumbo di Torre Annunziata. Già condannato per associazione camorristica, quest’ultimo avrebbe esautorato l’amministratore della ditta, assumendone in toto la gestione pur senza uscire allo scoperto, evitando così l’adozione di misure di prevenzione patrimoniale. A lavorare per lui ci sarebbe stato Antonio Esposito di Maiori, che figurava alle dipendenze di un’agenzia interinale ma che per la Procura era consapevole di aver contribuito a un’operazione che agevolava gli interessi della camorra. Sempre Nunzio Palumbo sarebbe stato poi il vero dominus della New Oplonti srl, intestata per metà al figlio Michele e per il restante a Francesco Cirillo e Pasquale Eliodori, entrambi di Torre Annunziata.
Ora le accuse formulate dalla Dda vanno dal riciclaggio e dal reimpiego di capitali illeciti (per i membri dei clan) al concorso in intestazione fittizia di beni per chi li avrebbe aiutati.
©RIPRODUZIONE RISERVATA