Le aziende devono lasciare i capannoni 

I giudici del Consiglio di Stato hanno respinto le due istanze cautelari: «Via le società che pagavano il fitto a Pontecorvo»

Un guazzabuglio di carte, faldoni, ricorsi e ordinanze. A viale Europa, nel cuore dell’area industriale battipagliese, in calce al caso “SoGe” la parola fine non si legge mai: ora si torna davanti ai giudici del Consiglio di Stato, che per ora respingono due istanze cautelari, ribadendo che le aziende che pagano il fitto a Giuseppe Pontecorvo devono lasciare i capannoni frazionati ad insaputa del Consorzio Asi di Salerno. E le toghe non hanno neppure il tempo di pubblicare il decreto che subito, sul tavolo, d’appelli se ne ritrovano altri cinque.
È una guerra di trincea, quella che si combatte da anni in zona industriale. Ora nell’occhio del ciclone c’è il diktat di cessazione immediata delle attività, imposto sei mesi fa dai giudici salernitani del Tar e reiterato novanta giorni dopo dalle toghe capitoline del Consiglio di Stato: il Comune di Battipaglia s’è adeguato, firmando un’ordinanza di stop ai primi di marzo, ma in poche ore i Pontecorvo l’hanno impugnata e il Tar l’aveva congelata. E qualche settimana dopo aveva deciso che la SoGe, l’azienda dei Pontecorvo, lì dentro può starci, ma gli altri, che hanno fittato angoli di capannone, devono andar via. Una nuova diffida comunale, ma si torna davanti al Tar: sette i ricorsi presentati da altrettante aziende, insediate nei capannoni. E il Tar ribadisce a metà giugno: cessazione immediata per tutti, ma non per la SoGe.
Il punto è che i Pontecorvo ritengono legittimo l’insediamento delle altre ditte, e insieme alla Lg Officine, una di quelle imprese, si rivolgono direttamente alla Suprema Corte amministrativa, invocando l’annullamento degli ordini comunali e della recente ordinanza del Tar, che «a torto ha ribadito acriticamente il diniego cautelare senza percepire i profili di novità delle nuove istanze, cioè la regolarizzazione delle posizioni in atto e il superamento del contenzioso pendente»: nel frattempo, infatti, la SoGe e gli altri, a colpi di richieste di Scia, segnalazioni certificate d’inizio attività, e di Cila, comunicazioni d’inizio dei lavori asseverative, chiedono al Consorzio e al Comune di mettersi in regola. Invano, perché gli “okay” istituzionali non sono arrivati, ma, stando a quel che obiettano, soltanto per questioni burocratiche.
Ad ogni modo, Antonino Anastasi, presidente della quarta sezione del Consiglio di Stato, dice no: non c’è nulla da fare, per adesso, per scongiurare la cessazione immediata delle attività nei capannoni frazionati e dati in fitto senza il placet del Consorzio. I vigili urbani, guidati da Gerardo Iuliano, devono mandar via le ditte. E le toghe del Consiglio di Stato fissano una nuova discussione, al 12 luglio, ma nel frattempo le ditte dovranno chiudere. Salvo stravolgimenti, perché, nel frattempo, dopo la SoGe e la Lg Officine, anche le altre cinque imprese bussano alla porta del Consiglio di Stato chiedendo un decreto cautelare: è l’istanza di Hytaca, MaxMetal, Dcs, Sapla e A&A.
Ci si prepara ad una nuova battaglia in aula: nel collegio difensivo ci sono gli avvocati Vincenzo Cerulli Irelli, Lodovico Visone e Lorenzo Lentini; dall’altra parte, c’è l’Asi, assistita da Antonio Brancaccio, e c’è il consigliere d’opposizione Gerardo Motta, intervenuto “ad opponendum”, contro le aziende, e tutelato da Paolo De Caterini e Ferdinando Belmonte. Nelle prossime ore si costituirà in giudizio anche Giuseppe Lullo, dirigente dell’avvocatura comunale. Una storia infinita, figlia del caos generato dalla delibera del Consiglio comunale del 2011, che stabilì il recesso di Battipaglia dal Consorzio: si ritenne che tanto bastasse per autogestire l’area industriale, ma nel 2017 il Consiglio di Stato ha chiarito che lo scettro è dell’Asi.
Carmine Landi
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