L'OPINIONE

La visione che ancora manca in Italia per avviare la “fase 2”

In molte Regioni, soprattutto meridionali, ormai i contagi giornalieri sono in caduta. Ciò dimostra che, al di là di poche eccezioni, i comportamenti dei cittadini sono stati assolutamente responsabili. Il panico da contagio ha funzionato meglio di qualsiasi limitazione imposta dall’ordine pubblico. E così possiamo guardare con un certo ottimismo alla fase 2. Tuttavia, come precondizione essenziale per avviare la nuova fase e non vanificare gli sforzi fatti andrebbero almeno garantite forniture costanti e a prezzi accessibili di mascherine – magari ffp2 e ffp3 –, che invece sono introvabili oppure hanno costi proibiti. Questa vicenda, a oggi, è emblematica dell’impreparazione a prospettare a breve una ripartenza: ovvero, a due mesi dall’inizio dell'emergenza non si è pianificato né un meccanismo di importazione di mascherine sufficiente al fabbisogno nazionale né, ancora più grave, in un paese che si vanta di avere una vocazione industriale manifatturiera si è riuscita a organizzare una produzione autoctona. Nonostante tale enorme incongruenza le polemiche tra le forze politiche sono ancora ridotte al minimo. Non era opportuno e non era utile. Nondimeno la lotta politica tornerà presto (un assaggio si è avuto sulle modalità o meno di accettazione del piano economico europeo). La politica, invece, non è mai fermata.

Anzi, soprattutto chi era al comando delle istituzioni ha approfittato dell’emergenza per rafforzare la propria immagine attraverso un utilizzo monopolistico della comunicazione pubblica. Si è sempre affermato che l’informazione è potere. In questa fase è diventato un dato evidente: chi possedeva le informazioni sull’evoluzione della pandemia ha utilizzato questa risorsa per frequenti e seguitissime comunicazioni pubbliche aumentando il proprio seguito popolare. Ne è derivata una crescita di consenso per molti leader nazionali e internazionali, addirittura la sgangherata coppia Fontana-Gallera non appare così gravemente intaccata nel gradimento popolare nonostante le difficoltà di quel sistema regionale nell’affrontare l’epidemia. Eppure, chi oggi è in testa nei sondaggi farebbe meglio a non adagiarsi e ripassare la lezione su Winston Churchill alla fine della Seconda guerra mondiale. Nonostante fosse il trionfatore indiscusso del secondo conflitto la sua visione della ricostruzione non convinse gli elettori inglesi e risultò vincitore lo scialbo Clement Attlee, che però offriva una visione forte: il piano Beveridge, che prevedeva delle ricompense per i sacrifici sofferti dal popolo inglese durante la guerra e una credibile spinta statale per il rilancio dell’economia britannica. La resa dei conti, come è avvenuto in tutte le fasi post-belliche, avverrà sull’efficacia delle politiche di rilancio dell’economia. Chiudere, in fondo, è stato facile.

La popolazione scossa dalla paura ha accettato con fatalismo le scelte delle autorità. Riaprire sarà la parte più difficile. Un terreno inesplorato dove saranno imprevedibili i comportamenti individuali e collettivi. Il dato preoccupante è che, a oggi, tra i principali attori politici ancora non si scorge una narrazione convincente che possa dare speranza. Anzi sembra riaffacciarsi nuovamente la propaganda pre-crisi perennemente alla ricerca di un nemico cui attribuire i propri fallimenti – le élite, le banche, l’Europa, per fortuna si è autocensurato il mondo no-vax – senza uno straccio di visione che restituisca una speranza alle aspettative popolari dopo i mesi di confinamento e sacrificio.