la storia

La tangentopoli salernitana: «Le inchieste svelarono il blocco di potere in città»

L'ex pubblico ministero Michelangelo Russo ricostruisce l’alba di “Mani pulite”: dalla Fondovalle alle opere pubbliche del Comune

SALERNO. A venticinque anni di distanza dall’inizio di Tangentopoli a Salerno, le chiacchiere e il pressapochismo interessato riprendono fiato. Ma il dato storico resta: Salerno, e in particolare quella Procura del 1992, scrisse pagine, rare sul Meridione, di lotta contro un blocco politico economico potente quanto intelligente, del tutto diverso dalla concussione ambientale denunciata a Milano da Antonio Di Pietro. Questo perché al Nord soffiava il vento nuovo della Lega, ma, soprattutto, l’imprenditoria settentrionale ancora non sentiva sul collo il fiato pesante delle mafie che, al Sud, vincolavano invece all’omertà anche le grandi imprese che operavano sul territorio. Non fu difficile per Di Pietro scoprire la catena di Sant’Antonio delle corruzioni attraverso i primi pentiti. Il problema era che al Sud non avevamo pentiti.

La Procura di Salerno percorse così una strada infinitamente più impervia, giovandosi di alcune contingenze favorevoli assenti in gran parte dei Tribunali meridionali. In primis, una forte presenza della componente progressista nell’ Associazione magistrati del distretto, animata da oltre un decennio di dibattiti sui grandi temi sociali e politici del Paese, più che su sterili argomenti tecnici. E poi, cosa dimenticata, la Procura diretta da Giuseppe Rizzo, uomo estraneo alle logiche del carrierismo e degli esibizionismi di potere. Ed infine, l’elemento favorevole del nuovo codice di procedura penale, appena entrato in vigore.

All’improvviso, tutto l’universo processuale era cambiato, come fosse avvenuto un '68. Il processo accusatorio aveva azzerato ogni riferimento con il diritto di prima e non c’erano cartografie e punti cardinali, ma solo un istinto da navigatori per condurre l’indagine in porto. Fu l’intuizione processuale la bussola vincente per contenere nei termini di risposta legale la marea di indignazione che saliva nel paese verso un sistema corrotto, basato sulla voragine del debito pubblico dilatato ad arte per mantenere i consensi.

La Procura di Salerno, che tra i più vecchi annovera nel 1992 i quarantacinquenni come il sottoscritto, scopre il principio della leva, che nella specie si chiama “progetto esecutivo” delle grandi opere pubbliche. È l’uovo di Colombo, attorno al quale ruota tutto l’impianto delle gare d’appalto. Tutti i progetti definiti come esecutivi, si capisce ben presto, sono falsi nelle premesse, per cui tutte le gare d’appalto sono necessariamente falsificate. Se quindi nessuno parla, parlano le carte delle gare. Ma sono montagne di documenti, incomprensibili ai magistrati e alla polizia giudiziaria. E qui l’arma dei consulenti tecnici fidati, estranei ai titoli universitari e al giro delle commesse pubbliche e private. Saranno i poliziotti tecnici dei Pm, figure onnipresenti negli interrogatori, e le perquisizioni a spiegare agli investigatori i punti critici.

Nello storico processo Fondovalle Calore della primavera 1992 chi scrive intuì l’arma formidabile per l’accusa del falso ideologico a catena. Per cui richiese l’aiuto dei colleghi Luigi D’Alessio, oggi Procuratore di Locri, e Vito De Nicola, oggi autorevole Consigliere presso la Cassazione.

Il primo pool meridionale opera così come quello di Milano, con cui avrà contatti continui per l’anno successivo. Ma la fatica è immane, perché diverso è l’impianto accusatorio, fatto di granito e non di dichiarazioni verbali. Le condanne diventeranno definitive in Cassazione appena cinque anni dopo. Il modulo vincente viene applicato a una decina di altri processi di grandi appalti, e un quarto magistrato viene aggregato al Pool.

Il processo detto del “Trincerone” tocca, come si sa, i gangli vitali della politica salernitana. Gli arresti reggono il vaglio del Tribunale del Riesame, ma in primo grado l’accusa è sostenuta da un Pm che pubblicamente dichiara, in un’intervista al Mattino, di non credere nel processo.

È già iniziato l’esodo di parte del vecchio pool: il sottoscritto è diventato Procuratore capo di Lagonegro e gli altri sono sommersi dal groviglio dei processi.

Il Pm, incredulo, sarà smentito dall’esito finale del Trincerone. Assolti in appello, buona parte degli imputati si vedranno in Cassazione, nel 2003, riconosciuta la prescrizione, proprio per quel capo d'imputazione cardine, il fatto ideologico del progetto esecutivo, che è stato l’architrave dell’accusa.

Ancora oggi, le sentenze della Cassazione sulla Fondovalle e sul Trincerone sono le uniche pronunzie che hanno fatto giustizia della chiave di volta del male italiano della falsità dei progetti. È merito della Procura di Salerno di quel tempo aver mantenuto la tenacia della pazienza certosina e della resistenza al dileggio con cui percorse una strada inesplorata nel panorama, a partire da Milano.

Vennero da Napoli i Pm di punta di allora, tra cui Arcibaldo Miller e Rosario Cantelmo, a studiare il metodo investigativo di una Procura di provincia guidata dal fiuto e dall’ immaginazione dinamica, come gli antichi giuristi romani, non schiavi della norma formale ma interpreti del diritto vivo.

*Presidente Secondo collegio penale della Corte d’Appello

di Salerno