La sociologa: «Questi adulti vanno puniti»

Anna Malinconico: «L’indigenza e la povertà non possono essere una scusante: piena responsabilità»

ANGRI. «Non è del 2016 che una mamma che si prostituisce avvia la figlia a fare lo stesso, senza che nessuno lo capisca»: una condanna senza mezze misure quella di Anna Malinconico, sociologa e responsabile del Progetto Protezione donna, il centro anti-violenza con sede ad Angri e con sportelli a Roccapiemonte e Sarno.

In otto mesi, incontri, denunce anonime e non di donne che soffrono la violenza. E il caso di Castel San Giorgio ad Anna Malinconico proprio non va giù: «Nel 2016 non è pensabile che accada una cosa del genere. Servono pene certe per questi adulti. E per salvare i minori – dice – a volte serve toglierli dall’ambiente in cui sono vissuti e dare loro un nuovo percorso di vita». Anna Malinconico non concede alibi a coloro che vivevano sia nel contesto familiare della ragazzina, sia nell’entourage: «Neppure l’indigenza e la povertà in questo caso è una scusante. La responsabilità è piena e totale». Ma quelle etichette, quel contesto esiste anche dopo che il caso giudiziario è scoppiato e come in questo caso la ragazzina è affidata alla nonna paterna, che possibilità ci sono per un minore di salvarsi? «Poche, in questo caso non capisco la logica che ha spinto le istituzioni ad affidarla alla nonna. Ma questo mi sembra un caso dove per ridare un futuro, bisogna portare il minore altrove. E qui è fondamentale l’intervento delle istituzioni. Della Rete sociale».

In questi otto mesi, Anna Malinconico e le esperte del Centro hanno messo sotto protezione quattro donne, «ci sono 30 casi di violenze sui quali stiamo lavorando, molti coinvolgono minori. Ci siamo scontrati con stereotipi come quello abberrante dell’inevitabilità, come è accaduto alla minore di Sarno».

Così come a San Valentino, caso in cui la 14enne sarnese è stata violentata perché sembrava “disponibile” anche per la vicenda di Castel San Giorgio la questione è solo che entrambe le minori sono vittime.

«Bisogna lavorare per arginare questa educazione abberrante alla violenza di genere e alla violenza in ogni forma, anche del bullismo – dice la sociologa – Il fatto che la famiglia della ragazzina abbia avuto problematiche è un dato, ma non è un dato che giustifica quanto accaduto, e non solo per l’atteggiamento della mamma, intorno c’è un collettivo egualmente responsabile». (r.f.)

©RIPRODUZIONE RISERVATA