La scuola vista da Cicenia «La crisi attraversa le aule»

Il bilancio di quarant’anni di attività del dirigente ormai prossimo alla pensione «Intendo mettere al servizio della comunità educante quello che ho realizzato»

“Mentre il mondo del futuro è aperto all’immaginazione, e non ti appartiene più, il mondo del passato è quello in cui attraverso la rimembranza ti rifugi in te stesso, ricostruisci la tua identità”. Pur alla soglia della pensione, termine che inevitabilmente segna la fine di un’epoca e che, altrettanto inevitabilmente, porta a guardare con nostalgia al passato, Salvatore Cicenia, storico preside del liceo scientifico “Leonardo da Vinci”, afferma di non ritrovarsi nelle parole di Norberto Bobbio rintracciabili nel “De Senectute”. Anzi, la sua nuova vita, che prenderà il via da settembre, quando lascerà ad altri il timone della nota scuola, promette nuove e soddisfacenti avventure: «Penso di disegnare un percorso nuovo da seguire per poter mettere al servizio della comunità educante quello che ho realizzato in tanti lunghi anni»,h affermato il dirigente scolastico nel salutare i suoi compagni di viaggio, qualche giorno fa in un incontro tenutosi dell’istituto di via Principessa Sichelgaita.

Com’è stato vivere per quarant’anni a contatto con gli studenti, rappresentando l’autorità senza dimenticare il lato umano?

«Ho vissuto tutte le contraddizioni della scuola, i suoi mutamenti e la sua stagnazione, sia come insegnante che come preside. Ma questo non mi ha mai scoraggiato né demoralizzato, anzi ho sempre pensato di vivere il mio tempo come “tempo politico”, nella prospettiva di dare un contributo di idee alla scuola militante. Non so se ci sono riuscito, non spetta a me dirlo».

Il suo modus operandi qual è stato? Ha sortito i frutti sperati?

«Non ho mai irrogato un provvedimento disciplinare, se non una sola volta, perché costretto, in quanto ho sempre inteso che bisogna guardare negli occhi le persone e stabilire un dialogo costruttivo, spendendo tutta la propria autorevolezza. Questo, se mi permette, è un merito che mi riconosco, per il resto sono un uomo limitato con una grande motivazione per la cultura e la scienza, che segnano inevitabilmente il cammino della vita umana».

Avrebbe potuto rimanere qualche altro anno alla guida del suo amato liceo, però, perchè la decisione di lasciarlo ad altri?

«Fino ad un paio d’anni fa ero intenzionato a restare per un altro lustro, poi è venuta la Fornero, che, tra una lacrima e l’altra, ha mortificato le certezze e i diritti acquisiti; per non parlare del fenomeno della reggenze, che vedono presidi su due scuole, a volte a distanza di circa duecento chilometri. La verità è che la crisi sociale ed economica sta mordendo inesorabilmente ed anche l’universo scolastico ne paga le conseguenze. Occorre, allora, per chi resta ma anche per chi opera extra moenia, dare un messaggio positivo alle nuove generazioni, un messaggio di speranza».

Qual è il suo?

«Occorre partire da sé, riscoprire il senso dell’autocoscienza, per costruire un complesso sempre nuovo di relazioni, piuttosto che rinchiudersi nel mondo che ci appare nella pura sfera della nostra soggettività. È la tematica che Aldo Masullo ha discusso ampiamente, per indicare la strada per superare l'individualismo e inedite forme di solitudine. Non intendo fare della filosofia, anche se ho sempre ritenuto, pure da studente, che sia fondamentale interrogarsi sul fine ultimo della vita. Né intendo dare consigli a nessuno. Chi parte non dà consigli a chi resta. Vorrei solo dire a chi rimane di volare alto, perché questo fa la differenza».

Arrivato al termine di un percorso, si ritiene soddisfatto?

«Le situazioni imperfette, a differenza di quelle tirate a lucido, che, però, esistono in mente Dei, spesso sono quelle più stimolanti, perché delineano un quadro dialettico, all’interno del quale ognuno può dispiegare il proprio impegno. Credo che consegniamo a chi subentra un patrimonio di idee e di risultati che vanno al di là dello spazio specifico della nostra scuola, e questo mi gratifica. Tanto».

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