La “Salerno patrimonio” macchina mangia soldi

La società doveva vendere immobili di proprietà dell’amministrazione ma finora ha prodotto soltanto spese. L’ultima è di oltre 18mila euro

La società “Salerno patrimonio” continua ad essere un’esperienza poco fortunata per il Comune di Salerno. La municipalizzata si dimostra, ancora una volta, una macchina “mangia soldi”. È, infatti, di pochi giorni fa la determina dirigenziale con la quale si autorizza il pagamento di 18mila e 500 euro nei confronti del liquidatore Mario Della Monica “quale fabbisogno finanziario dovuto per procedere all’estinzione delle partite di debito”, come si legge nel documento. In pratica, il professionista nello svolgere le operazioni di liquidazione si è reso conto che esistevano dei debiti ai quali bisognava porre rimedio. Chi vantava questi crediti, la determina non lo specifica. Probabilmente, si tratta di semplici fornitori dato che la società dal giorno della sua nascita non ha prodotto praticamente nulla. Non a caso, nel piano di razionalizzazione approvato dal Consiglio comunale a marzo, si è deciso il suo scioglimento perché ritenuta non più strategica. Ma quanto è costato in questi anni “Salerno Patrimonio”? Ripercorriamo un po’ di storia. La società, a totale partecipazione comunale, nacque nel luglio del 2011 con l’obiettivo di realizzare una o più operazioni di cartolarizzazione dei proventi derivanti dalla dismissione del patrimonio comunale. A settembre dello stesso anno venne designato nel ruolo di presidente l’avvocato Simone Labonia. Un incarico che durò però poche settimane. A metà novembre, infatti, lo stesso si dimise in seguito al suo coinvolgimento nell’inchiesta relativa al fallimento del pastificio Amato. A metà del 2012, dopo diversi mesi di vacatio e nessuna attività registrata, viene nominato nuovo presidente il docente universitario Pasquale Stanzione (ex preside della facoltà di Giurisprudenza). Anche quest’ultimo a fine 2013 lascia il suo incarico, sostituito dal professionista Ivan Meta (già componente del cda), ultimo presidente fino alla decisione della messa in liquidazione della società. Tre anni e mezzo di vita, quindi, per una partecipata che non ha prodotto quasi nulla; si ricordano, più che altro, i fallimenti delle varie iniziative di cartolarizzazione con le banche. Tuttavia in questi anni qualcosa si è speso. Al momento della costituzione la municipalizzata vantava un capitale sociale di 100mila euro, ma alla fine del 2011 dopo sei mesi di vita già si registrava una perdita di circa mille euro. Nel 2012 le perdite aumentano ed arrivano a 11mila 314 euro e nel 2013 raggiungono quota 23.961 euro. Questo è l’ultimo dato a disposizione, quello presentato nel piano di razionalizzazione. Sempre in questo documento si precisa che, nel solo esercizio finanziario 2013, il Consiglio d’amministrazione, composto da due elementi, ha avuto un compenso complessivo pari a 22mila 464 euro. In realtà, la situazione riguardo ai compensi non è molto chiara. In quanto ci sono diversi documenti che registrano cifre differenti. Infatti, in un primo relativo all’anno 2012 si certifica che i tre componenti del cda (presidente compreso) non avevano percepito alcun compenso. In un secondo documento, attualmente consultabile sul sito dell’Ente ed aggiornato al 2014, si legge che il presidente Ivan Meta ha percepito un compenso lordo annuo pari a 49.810 euro, mentre il consigliere Monica Achille 21.600 euro. L’anno di riferimento dovrebbe essere il 2013, dato che l’attestazione risale a maggio 2014. Ma nel 2013, il cda non aveva percepito in totale circa 22mila euro? Ci sarebbe quindi una difformità su quanto riportato nel piano di razionalizzazione e quanto si legge nell’allegato relativo alla certificazione dei compensi all’interno delle partecipate. Un dato è però sicuro, ci sono stati dei soldi spesi per il Consiglio d’amministrazione sebbene la società non risultasse particolarmente attiva nel suo campo (basti pensare che nel 2013 non risultano operazioni di dismissioni di immobili da parte del Comune). A distanza di quattro anni e a pochi mesi dalla sua definitiva scomparsa, “Salerno patrimonio” continua a rappresentare una spesa per l’amministrazione. La speranza è che questi 18mila euro siano gli ultimi da sborsare.

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