Risorgimento nel Salernitano<br />Terza puntata

La rivoluzione vittoriosa e la nascita di un nuovo Stato

Circa quattromila i volontari che si attivarono Rutino, Vallo e Teggiano i paesi che diedero il contributo maggiore

Garibaldi lasciò Salerno dopo poche ore. Napoli, abbandonata dal Re borbonico, doveva essere subito occupata. Iniziava la fase finale dell’impresa dei Mille e della rivoluzione meridionale mentre Cavour metteva in moto la complessa macchina militare, politica e diplomatica che avrebbe portato, un paio di mesi dopo, Vittorio Emanuele II a Napoli. Anche nel salernitano iniziava lentamente la costruzione del nuovo stato. I liberali erano oramai schierati tutti per l’annessione alla nuova patria italiana. I sindaci e gli altri funzionari dello stato (in linea con i primi giorni della rivoluzione), a partire dal sindaco Pacifico a Salerno, furono quasi tutti confermati nelle funzioni. Il 6 settembre il teggianese Giovanni Matina era stato nominato da Garibaldi Governatore della provincia, mentre il politico salernitano più in vista, Raffaele Conforti, diventava il ministro dell’Interno del governo della dittatura garibaldina a Napoli.

• Il mese successivo fu il più convulso della rivoluzione. A Salerno Matina governò con pugno di ferro ma suscitò critiche e polemiche da parte dei moderati. Gli uomini di Cavour lo descrivevano come un fanatico mazziniano. Né era ben visto per il suo radicalismo da politici professionisti di lungo corso e in effetti molte sue misure e qualche arresto preventivo, fecero discutere ed innervosire. Dopo qualche settimana, infatti, fu sostituito da un funzionario di carriera, un liberale moderato, Mariano Englen (affiancato però da un democratico e amico di Matina, del Mercato). La lotta politica era ripresa, destra e sinistra si contendevano, anche nel salernitano, la leadership della rivoluzione. In questa fase erano però altri gli obiettivi strategici. C’era da rimettere in piedi l’apparato dello stato e coinvolgere tutta la piccola e grande borghesia, tagliando così definitivamente le gambe ad una reazione organica dei fedeli della vecchia dinastia. Infatti, ancora una volta, di fronte alla scelta decisiva, quella del plebiscito che doveva sancire l’ingresso nel nuovo stato italiano, l’elemento di forza del nazionalismo unitario fu la chiarezza e la determinazione dell’obiettivo comune. Nonostante le tensioni sempre vive tra i radicali di Matina e le vaste forze moderate (con le loro complicate articolazioni interne), tutta la borghesia salernitana e il movimento rivoluzionario nella sua interezza si schierarono per l’annessione.

• Al di lá delle facili polemiche sui termini della vicenda elettorale (in provincia il sì ottenne 124.144 voti su 124.649 votanti) e le contestazioni che non mancarono da settori popolari e militanti filo borbonici, l’effetto politico visibile era proprio la compattezza del mondo liberale, dai vecchi autonomisti ai moderati e ai radicali, insieme alla burocrazia e alle forze di sicurezza. Era un processo che si presentava del tutto irreversibile: la nuova nazione era nata e il salernitano ne era parte a tutti gli effetti.

• Nel frattempo continuò la guerra contro le forze restate fedeli al vecchio re. Anche qui i salernitani erano in prima fila. In tutti i comuni furono aperti uffici per l’arruolamento di volontari: bisogna che l’esercito nazionale nasca dalle viscere stesse del popolo, scriveva il proclama di arruolamento firmato da Matina, Santelmo e Del Mastro, con toni che non piacevano molto agli amici cavouriani. In ogni caso i documenti superstiti testimoniano la consuetudine dei rivoluzionari di professione di Salerno con l’organizzazione e la gestione di queste formazioni paramilitari. Circa 4000 volontari (quasi tutti delle aree interne e con alcuni comuni da record: 200 di Rutino, 400 di Vallo, più di 100 a Teggiano e a Sassano) si arruolarono, con la Brigata Fabrizi, nell’Esercito meridionale.

• La formazione entrò nella Divisione Bixio, fu collocata sulla sinistra dei Ponti della Valle e partecipò alla battaglia del Volturno. Nella fase successiva la Brigata fu aggregata alla divisione Avezzana e poi si trovò agli ordini del generale regolare Della Rocca, partecipando alla presa di Capua dove venne venne gravemente ferito il comandante. Non c’era però solo questa guerra in corso. Più di sessant’anni di conflitto civile avevano lasciato una scia di odi e paure. E i liberali non avevano dimenticato la reazione del ’99 o l’eterno flagello del brigantaggio meridionale, sapevano che quella lunga guerra non sarebbe terminata facilmente Le colonne salernitane intervennero contro i legittimisti che avevano fatto la celebre reazione di Ariano e servirono a liquidare anche le altre azioni filo borboniche. I volontari meridionali, della destra o della sinistra, non avevano dubbio su questo tipo di guerra ai propri connazionali. Marciano, nel suo memoriale, scriveva che la colonna salernitana le affogò nel sangue. Dopo la tentata rivolta di Atrani, immediatamente sommersa dalla Guardia Nazionale della Costiera, scriveva nella sua relazione il capitano della compagnia di Maiori che tutti erano desiderosi di misurarsi con le armi contro i nemici d’Italia. Nei giorni del plebiscito a Valva, a Buccino, a Ricigliano, a Montesano vi furono sommosse con uccisioni e violente reazioni della Guardia Nazionale. Erano però fuochi reazionari fragili. La classe dirigente salernitana, come tutta quella meridionale aveva scelto il nuovo stato, anche se una opposizione diffusa si andava organizzando. L’arcivescovo di Salerno era fuggito dalla cittá quando giunsero i garibaldini per non cantare il solito Te Deum di ringraziamento. Anche se moltissimi preti e soprattutto monaci erano tra i liberali e tra i garibaldini, la maggioranza del clero era contro il nuovo regno. Alcuni erano vecchi notabili e importanti borbonici, come l’Arciprete Palmieri di Polla o Santomauro di Padula. Fece scalpore, per il peso del prelato, la pastorale antiliberale letta dall’Abate di Cava a Roccapiemonte. Non mancavano attivisti come i frati di Altavilla fatti arrestare dall’intendente De Angelis. C’erano poi gli sbandati dell’esercito che cominciavano a legarsi alla criminalitá comune e ai vecchi briganti che da tempo immemore tormentavano le province. Però ora il nuovo stato era nato. Governatore del Principato Citra divenne Giovanni Gemelli. Nel dicastero della Giustizia della Luogotenenza c’era di nuovo un salernitano, Giovanni d’Avossa.

• I sindaci, la Guardia Nazionale, i corpi dello stato erano schierati, determinati a liquidare la resistenza dei partigiani borbonici. La nuova Italia diventava una religione sacra ed intoccabile. Le elezioni convocate per il 27 gennaio furono il momento politico fondamentale. Nella provincia di Salerno (divisa in 12 collegi uninominali Salerno, Amalfi, Angri, Nocera Inferiore, Mercato Sanseverino; Montecorvino Rovella, Campagna, Capaccio, Sala, Diano, Vallo e Torchiara) si misuravano per le elezioni tutti i vecchi rivoluzionari e i liberali. Pochi mesi dopo, la corposa delegazione parlamentare salernitana, partecipava alla fondazione del Regno d’Italia e testimoniava la nascita della nuova nazione.
* Docente di Storia contemporanea facoltá di Lettere e Filosofia dell’Universitá di Salerno © riproduzione riservata