La processione diventa prova di forza

Contro le regole della Curia, i portatori stravolgono il percorso. Fischiato l’arcivescovo Moretti, il prefetto va via

SALERNO. È stato un San Matteo di veleni e fuochi incrociati, vicino alla guerriglia da stadio e lontanissimo anni luce da qualsiasi alone di spiritualità. Che la processione, dopo i contrasti tra Curia e Comune, potesse essere caratterizzata da momenti di disordine, era nell’aria da tempo, tant’è che il questore Alfredo Anzalone ha preteso un dispiego di uomini, sia in divisa che in borghese, mai visti nelle passate edizioni delle celebrazioni del Santo Patrono. Ma forse era difficile immaginare che si rischiasse di sfiorare la rissa ad ogni sosta. Sono le 16.30 quando, nell’atrio del Duomo, un gruppo di portatori diserta l’appuntamento con la Messa nella cripta. Nel quadriportico, belli allineati, i simulacri dei Santi. Tanto basta a scatenare il putiferio. «Non si è mai vista prima una cosa del genere. Le statue devono uscire come sempre è accaduto dall’interno del Duomo. Questo è un affronto e noi non ne sapevamo niente», urla un gruppetto delle paranze. Poi gli animi di scaldano ancora, e giù con l’invettiva contro l’arcivescovo Luigi Moretti, accusato di voler stravolgere le tradizioni. Mentre a gruppi arrivano confraternite, fedeli ed autorità, i portatori si riuniscono e decidono la strategia da seguire: guerra a Moretti, fedeltà imperitura al sindaco Vincenzo De Luca che, non a caso, diserta la processione, affidando ancora una volta ad Eva Avossa il compito di indossare la fascia tricolore.

Alle 18 si annuncia l’uscita delle paranze. Niente da fare. Ognuno resta inchiodato al suo posto, di fronte a un Moretti basito che, solo con il braccio reliquiario di San Matteo in una mano, li guarda perplessi. È il timoniere della paranza di San Matteo, Raffaele Amoroso, ad alzare la voce, agitarsi ed intimare ai compagni di non muovere un passo. Uno dei più stretti collaboratori del vescovo, don Felice Moliterno, tenta la mediazione. Inutile perché viene assalito. È Moretti che allora avanza verso i portatori. Peggio ancora. Ci vuole l’intervento del questore per sedare una discussione dai toni roventi. Quindici minuti in stand-by. Parte così la protesta del popolo che si muove in autonomia agitando le prime piroette dei simulacri sul sagrato della Cattedrale. Sarà solo la prima di una lunga serie di disobbedienze ai diktat imposti da un documento ufficiale della Conferenza episcopale campana

Scendono i simulacri, la prima sosta vietata dinanzi la caserma della Guardia di Finanza si svolge puntuale. Ma è in via Mercanti che il livore da ultrà trova il suo sfogo. I portatori si fanno largo verso Portanova, intimando ai sacerdoti di restare fermi. Incitati dalla folla in delirio, proseguono così fino in via Cilento e poi giù verso la Rotonda, con soste infinite tra pescherie e bar. Addio letture liturgiche volute da Moretti, accolto da un coro di fischi e urla all’altezza del bar Rosa, dove la folla gli grida, “Via da Salerno”.

Forti del consenso popolare, i portatori adagiano sull’asfalto le statue e portano quella di San Matteo sulla balconata a mare antistante la Provincia. Un capo paranza si rivolge all’arcivescovo e gli urla in faccia: «Nui jamm a mar, vir tu che vuo fa». È qui che il prefetto Gerarda Pantalone decide di abbandonare la processione.

Intanto l’ingresso del Comune è già presidiato dai vigili urbani. Le cancellate sono chiuse, ma all’interno ci sono i caschi bianchi e le luci accese a giorno. Ufficialmente nessuno sa cosa accadrà, ma si sa che già dalle 18 era stato dato il via libera all’apertura delle porte, che avverrà alle 2015, all’arrivo della processione.

Il tempo di aggredire verbalmente don Claudio Raimondo, parroco dell’Annunziata, e il simulacro di San Giuseppe fa il suo ingresso nel Comune. Quando tocca a San Matteo, la ola è divisa equamente tra applausi ai portatori e fischi sonori alla Curia, con un gruppetto di ultrà che tenta di sfondare le barriere e di entrare nel corteo. «C’a verimm nui» è la risposta dei portatori che li allontanano. La folla inneggia, grida bravi, Moretti a casa, viva De Luca, prima di un ritorno il Cattedrale che offre una scena da banlieu, con i fischi inferociti e le offese che accompagnano l’arcivescovo, che a Largo Campo viene sottratto dagli agenti della Digos al rischio di un’aggressione. I simulacri fanno la tradizionale, seppur vietata corsa sulle scale, i portatori girano grondando sudore su se stessi.

L’arcivescovo prende la parola tra i fischi che in precedenza hanno sovrastato perfino la voce del sacerdote che recitava il Padre Nostro davanti al Comune: «Ringrazio chi ha dato una dimostrazione di fede», dice Moretti. Il capo paranza di San Matteo afferra il microfono, vuole forse ribadire quanto detto durante tutta la processione, «I Santi sono nostri e decidiamo noi». La folla resta in strada perplessa, tra pochi indignati e tanti, tantissimi, esultanti per aver dimostrato alla Curia che la città è dei salernitani e guai a chi la tocca. Quanto ai fuochi mancati, il popolo non ha dubbi. «De Luca ha detto che è colpa di Moretti». E se lo dice il sindaco, nonostante dalla Curia non siano mai arrivati divieti in tal senso, è senza dubbio così.

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