L'INTERVISTA

La politica secondo Squitieri"Crisi senza fascisti e comunisti"

Il regista napoletano protagonista al Festival del Cinema di Salerno. Ne ha per tutti: «La crisi in Italia è arrivata con Berlinguer e soprattutto con il compromesso storico». Un giudizio su Salerno: «De Luca è bravo ma i cittadini sono migliori del loro sindaco»

«Questa città è migliorata tantissimo. Sono molto amico del sindaco Vincenzo De Luca, è un ottimo amministratore ma non sarebbe stato quello che è senza ottimi cittadini. Nessun capo condottiero diventa grande senza un esercito all’altezza». Pasquale Squitieri sale in cattedra al Festival del Cinema di Salerno e dispensa, ai giovani che gremiscono il Teatro Augusteo, modelli e speranze: «Dovete avere la convinzione di essere persone e confrontarvi con la società evitando di buttare al vento duemila anni di storia». E la storia e i valori, per il regista di origini napoletane, hanno un significato alto che lo pongono al disopra delle appartenenze politiche.
Un uomo libero («le cose che si dicono qui non le ascolterete mai a "Porta a Porta"») che non ha paura di confrontarsi con i cambiamenti. Un intellettuale trasversale che ha sempre attirato su di se, critiche: la sinistra che lo ha sempre tacciato di essere un uomo di destra e la destra che lo ha sempre considerato scomodo («dopo Almirante il deserto». «Il problema è che non c’è più odiens. La politica è una torta»).
Maestro dal "Prefetto di ferro" a "Gomorra" come sono cambiate le mafie?
«La camorra non esiste più. Io sono nato nel quartiere della Sanità dove operava don Luigi Campolongo detto "naso di cane". Viveva in un basso, non aveva richezze ma era potente. Pagavamo e avevamo la garanzia che nulla ci potesse accadere. Poi con l’arrivo di Luky Luciano, la camorra si è trasformata in un potere economico legato al business della droga. Molti soldi tanto da stabilizzarsi sul mercato con un forte potere».
In questo la politica ha delle responsabilità?
«Più che la politica sono le banche, che ricevendo miliardi di euro in contanti dalle organizzazioni criminali, gestiscono la politica. Però senza quei miliardi di euro la nostra condizione economica sarebbe disperata. Qualcuno ha provato anche a dirle queste cose, ma è stato eliminato».
Ci dobbiamo arrendere al capitalismo allora?
«Io ho vissuto la politica dall’interno (nel 1996 si è candidato al Senato con il Polo per le Libertà nel collegio di Nola -ndr) e mi sono reso conto che il problema di tutto l’Occidente è il mercato. In Italia Bettino Craxi aveva tentato di rimettere l’economia sotto la politica, ma guardi che fine ha fatto. Io sento parlare solo di gente che non arriva a fine mese ed è un po’ triste per un Paese con la sua storia. Quando lavoravo al quotidiano Paese Sera andavo tutte le mattine a piedi perché non avevo i soldi per l’autobus. Ero felice perché il mio problema non era arrivare a fine mese, ma realizzare qualcosa, essere utile alla comunità, vivere nella comunità».
Ma in una società moderna fondata sull’edonismo, come si ritorna indietro?
«Con la cultura. Individuando modelli positivi. In una società che si dice socialista, dove la proprietà è un furto; un giovane che a 19 anni mi dice che vuole il posto fisso per pagarsi la rata del mutuo e sposarsi, significa che siamo alla follia».
Volendo individuare la genesi del crollo dei valori, lei a cosa la riferirebbe?
«Noi abbiamo avuto un dramma nel nostro Paese: primo il crollo del fascismo; poi il crollo del comunismo. La mia generazione che è nata dopo la guerra, del fascismo sapeva poco e siamo cresciuti con il Partito Comunista Italiano. Un Partito aggressivo, lotte sindacali, giusto, severo, quasi spietato. Ci abbiamo creduto. Erano grandi uomini ed erano poveri, non c’era l’idea di arricchirsi con la politica. Dall’altra parte avevamo un rigurgito neofascista con Giorgio Almirante, che pure aveva una sua statura. La crisi per noi è arrivata con Enrico Berlinguer, con il compromesso storico e con la crisi delle cooperative agricole che erano state il grande successo del partito».
Questa crisi cosa ha determinato?
«In un Paese opportunista come il nostro, perché è bene ricordarlo noi siamo quelli di piazzale Loreto, ha creato uno sbandamento. Un disorientamento che ognuno ha cercato di affrontarlo in maniera diversa. Chi con le droghe, chi attraverso la libertà sessuale, chi con un femminismo esasperato. Ma su tutto, lo sbandamento ha creato dei falsi genitori. Noi non sapevamo più che cosa dire ai nostri figli, perché non credevamo più in niente e questo ha svilito il ruolo della famiglia».
Oggi però i giovani stanno dimostrando nelle piazze di credere nel diritto alla cultura.
«I giovani oggi hanno più doveri che diritti e hanno un grande nemico che è diventato cultura e costume: la droga. Bisogna che i giovani si considerino in guerra perché avere "un mondo migliore" costa».
E a chi le chiede, a quali modelli di riferimento culturale bisogna ispirarsi, lei chi indica?
«Albert Schweitzer, uno che aveva tutto e ha rinunciato a soldi e fama per andare in Africa a lenire, come medico, le sofferenze dei lebbrosi. Ecco i giovani devono rivolgersi ad eroi puliti».