«La parola razza non si abbina alla parola uomo» 

Eboli, lettera aperta della madre giornalista alla bimba vittima di frasi ingiuriose sui social

Ti ho guardata salire i dodici scalini che dividono la vita dal portone della scuola, sabato mattina. Piano, piano, un passo davanti all’altro per ritrovare l’equilibrio. La mia bambina è ormai una piccola donna. Ci siamo tenute per mano, in questi giorni più che mai, e stavolta tu mi hai insegnato a camminare. Ho ricordato spesso il giorno in cui sei nata. Uno scricciolo di pochi centimetri saltato fuori dal mio ventre, quando oramai non avevo più forze. Hai fatto tutto da sola, irrompendo nelle nostre vite e portando il sole anche nei giorni uggiosi. Sono stata zitta fino ad ora, amore mio, perché le parole si scelgono. Non sempre siamo in grado, noi grandi, di trovare quelle giuste. Miseramente, falliamo. Il fallimento pesa come un macigno sulle nostre spalle, ma non è una condanna definitiva se impariamo qualcosa.
Ho letto articoli su di te e sulla tua storia, la nostra storia. Ho riflettuto molto e ho capito che la ricerca dello scoop, la frenesia della notizia ci inietta nelle vene un vaporoso adrenalinico che non ci fa pensare all’essenziale e cioè che dietro le notizie ci sono le storie, dietro le storie ci sono le persone e quando si tratta di minori poi, dovremmo tutti indossare guanti immacolati, prima di mettere le dita sulla tastiera. Chi si è preoccupato di come saresti stata vedendo link che raccontavano, senza neanche ben conoscere i fatti, di te? Chi ha pensato al grumo di emozioni che si piazza nell’esofago e blocca lacrime e rabbia? Ogni anima diventa carne da macello per riempire quella colonna di venti righi. Nessuno di quelli che ha parlato ti ha vista nei giorni bui sorridere al cattivo gioco. Nessuno ti ha vista mentre ingoiavi rospi. Nessuno si è fermato ad osservarti mentre con le cuffie ascoltavi le canzoni di Ghali, il rapper un po’ italiano e un po’ tunisino, e tamburellavi impaziente le dita sopra il libro di storia. «Quando mi dicono a casa, io rispondo sono già qua». Ho trovato questa frase scritta sui tuoi libri e sui tuoi quaderni.
Nessuno di coloro che ha scritto era con noi, mentre in questi giorni salivamo e scendevamo le scale della tua scuola, mano nella mano. Me ne vado sbattendo la porta o resto e provo a cambiarlo un poco questo mondo? E mentre te lo chiedi lo stomaco si stritola. Abbiamo pensato ai nostri due eroi. Mentre ti accarezzavo i capelli sul letto, ci guardavano dal comodino. Le loro parole ci hanno disegnato la strada. Paolo Borsellino e Giovanni Falcone. Film, libri, documentari. La giustizia, il coraggio, il senso del dovere e delle responsabilità. Il rispetto dei diritti di tutti e di ciascuno. Questi sono i valori a cui ci siamo aggrappate, per non cadere. Non conosciamo la parola “razza” abbinata alla parola uomo. Per noi, per la nostra famiglia, dall’Austria al Brasile passando per il Senegal, il mondo è piccolo e la nostra città è solo un giardino i cui confini troppe volte ci stanno stretti.
Quello che è successo ci ha ferite ma oggi credo più che mai che tutto questo andava vissuto. I silenzi, i ciechi, i sordi. Nessuno vede e nessuno sente. Ma quando non si viene sentiti bisogna urlare più forte. Nessun adulto dovrebbe mai chiudere gli occhi davanti al disagio di un adolescente, per salvare un sistema che corre e che non sa ascoltare o forse non ascolta per comodità. Non sei stata vittima nemmeno per un secondo e rispetto a nessuno. Sei un gigante che sta compiendo l’atto più coraggioso che in questi giorni ho visto fare: stai dando a tutti e a te stessa una seconda possibilità, per provare a cambiarlo davvero un poco, questo fottuto mondo.
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