«La nostra lotta contro il cancro al seno» 

Matilde e Rosita si sono conosciute alla “Breast Unit” del Ruggi e hanno combattuto con dignità e forza la loro battaglia

Non amano definirsi colleghe pazienti, ma compagne di viaggio. Si sono conosciute nel reparto di Medicina e chirurgia senologica “Breast unit” all’ospedale Ruggi di Salerno, Matilde e Rosita, mentre attendevano il loro turno per un colloquio con la psicologa. Tutto ha inizio, per entrambe, nel maggio del 2017 e, da allora, hanno condiviso l’intero percorso, l’intervento di mastectomia a giugno e i cicli di chemioterapia, fino a gennaio di quest’anno. «La mia vita è cambiata il 2 maggio scorso, nel giorno del ventiquattresimo compleanno di mio figlio, quando ho scoperto di avere un tumore alla mammella». Matilde Liambo, 51 anni, si reca all’Asl di Salerno, come di consueto, per effettuare un’ecografia preventiva, ma la mattina stessa riceve la cattiva notizia: «C’è una massa tumorale di 4 centimetri», le dice il medico che quel giorno, dopo una mammografia d’urgenza, le consiglia di rivolgersi subito al reparto di Senologia del Ruggi. «Non ero più lucida. Sarò stata, su per giù, mezz’ora incapace di intendere e di volere», ricorda Matilde. «Non c’era più tempo da perdere». Il primo incontro con la dottoressa Maria Lamberti, chirurgo senologa, è stato per lei così segnante, da non avere alcun bisogno di chiedere un altro consulto altrove. «Sembrerà sciocco, ma ti affidi anche a cose come l’empatia, quando sei disperata» , afferma. Conosce la Breast, dove viene seguita dalle volontarie dell’associazione Angela Serra in tutte le fasi, sia prima che nel post operatorio, ritrovando un ambiente familiare. Matilde vive a Salerno con suo figlio e sua madre, ma ha preferito tenerli fuori il più possibile da queste dinamiche, sbrigando tutto da sola e potendo contare, sin da subito, sul calore umano dei suoi nuovi punti di riferimento.
Dopo i primi esiti in ospedale, avvisa la sua famiglia. «Con mio figlio ho cercato di non fare drammi, gli ho chiesto di parlarmi e, soprattutto, di non andare a cercare diagnosi o strane cure su internet», sorride Matilde, ma poi abbassa lo sguardo. «La tragedia è stata affrontare mia mamma, anziana, che è sopravvissuta allo stesso male, quando avevo 20 anni. La notizia è stata come un trauma». Suo padre, invece, qualche anno dopo non ce l’ha fatta. «Lei è il mio esempio, ne è venuta fuori con forza e dignità, a me andrà allo stesso modo». La vita di Matilde è cambiata, innanzitutto, dal punto di vista lavorativo: dopo circa 25 anni come impiegata in un’azienda si è dovuta fermare 6 mesi, in attesa di poter riprendere i suoi impegni, domani, con la stessa passione di prima, la stessa dedizione, ma avendo più cura di se stessa. «Mi sentivo invincibile, quasi indispensabile, ho dovuto ricredermi. Ho un sacco di progetti e desideri e, ora, non intendo più rimandare», conclude.
«È indubbiamente una notizia che sconvolge te stesso e chi ti sta intorno, parenti, amici, colleghi di lavoro», interviene Rosita. «Io non mi sono mai sentita malata e ho chiesto di non trattarmi da tale». Rosita Dell’Aglio, 47 anni, di Pontecagnano Faiano, ha scoperto di avere un cancro al seno il 18 maggio del 2017, preso in tempo grazie al ciclo di prevenzione. Quella mattina, attraverso la mammografia, il medico scorse un’anomalia da approfondire con altri esami ma, purtroppo, i risultati non lasciavano scampo: tre piccole masse sospette di 12,4 e 2 millimetri, poi tradotte in un tumore maligno. «Ho capito subito che ci fosse qualcosa che non andava, infatti, non riuscii a trattenere il pianto, immaginando la diagnosi peggiore possibile», ricorda Rosita. Nonostante il buio intorno, il primo pensiero è andato alla sua famiglia, al marito e alla sua bambina di 11 anni, insieme alle responsabilità che aveva verso di loro. «Mi sono sentita persa, ero completamente in tilt. Devo riprendermi, devo risolvere, continuavo a ripetermi».
Da quel momento inizia la sua corsa disperata verso il Ruggi, un tragitto interminabile. Ad accoglierla al reparto è la dottoressa Lamberti, che descrive come una donna forte e umana, che infonde coraggio, oltre ad essere una brava specialista. «Sono un’infermiera, ne capisco», accenna un sorriso fiero Rosita. Il giorno dopo ha inizio il suo percorso. Nel giro di un mese subisce un intervento di svuotamento, attraverso la quadrantectomia, prima e la mastectomia, dopo, cui fanno seguito un ciclo di chemio e uno di radioterapia, che dovrebbero concludersi a fine marzo. «Nel nostro percorso di dolore, in cui l’equilibrio psico-fisico è vulnerabile, la sinergia che si crea alla Breast, tra l’equipe di medici, l’accoglienza delle volontarie, insieme alla fiducia riposta nei loro confronti, ha alleviato di molto la nostra sofferenza – dice, convinta – Un’esperienza che toglie energia, ma che in cambio restituisce legami».
Dal primo colloquio con la dottoressa, che dal punto di vista clinico segue l’intero iter, l’associazione Angela Serra è stata loro vicino, attraverso le cure delle volontarie, sempre pronte a regalare sorrisi, a fornire aiuto, fissando il calendario dei vari esami fino all’intervento, un vademecum utile a quante, in quei dati momenti, sono preoccupate e disorientate. In famiglia Rosita ha scelto di dare la terribile notizia a tutti, tranne che a sua figlia. «Ho voluto proteggere la sua spensieratezza, nascondendole una parte di verità. Quando i capelli hanno iniziato a diradarsi, a seguito delle chemio, le ho raccontato di aver fatto uno shampoo sbagliato, che mi aveva provocato la caduta improvvisa – ride Rosita – Non è mai accaduto che non mi occupassi di lei in prima persona, dovevo farcela».
A partire dal rientro al lavoro lo scorso 26 febbraio, vuole riprendere in mano la propria vita, ma soprattutto la sua serenità. «Ho avuto paura per me stessa e la mia famiglia, ho imparato a darmi delle priorità. Prima vivevo in modo frenetico, ora mi accorgo delle cose essenziali, comprese le persone», conclude.
Il prossimo maggio Rosita e Matilde spegneranno insieme la prima candelina, in onore della loro rinascita.
Rosita Sosto Archimio
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