Il commento

La minuteria criminosa esposta come selvaggina di passo

Era costume delle classi agiate di un tempo farsi fotografare, dopo una battuta di caccia, col fucile in mano e l’aria compiaciuta dei vittoriosi che contemplano le vittime del loro impegno virile

Era costume delle classi agiate di un tempo farsi fotografare, dopo una battuta di caccia, col fucile in mano e l’aria compiaciuta dei vittoriosi che contemplano le vittime del loro impegno virile: stormi di uccelli inermi distesi a terra ai loro piedi, a gloria dei vincitori.
Il vezzo dello sparo alla selvaggina di passo rientra un po’, in verità, nelle abitudini dei pubblici ministeri perché spesso questo è un espediente necessitato.
La statistica di produttività è una spina fastidiosa che affligge la vita del magistrato, perché essa guarda i numeri e non all’impegno che spesso assorbe l’attività del giudice nei processi più complicati e difficili.
E allora, me per prima quando ero pubblico ministero, per far tornare i conti mensili della produzione, eliminavo pile di fascicoli contro ignoti o di processetti seriali, che comunque facevano numero. E così avevo il tempo di dedicarmi ai processi più importanti senza l’angoscia delle tabelle di produttività da rispettare.
Era un espediente, questo, di legittima difesa.
Ma se avessi portato pubblicamente gli alti numeri di produzione a vanto della mia bravura avrei fatto ridere i colleghi. Il trucco, tra quelli di mestiere, è noto. Ma la statistica burocratica non è dotata di intelligenza acuta e si fa impressionare da tutto ciò che è vistoso. Allo stesso modo, quando ero Procuratore di Lagonegro, le varie forze di polizia del mio territorio avevano l’abitudine ciclica di scaraventarmi sul tavolo, ogni tanto, decine di denunzie e svariati arresti per detenzione illecita di armi da fuoco.
Reati seri, quindi, e territorio pericoloso, a prima vista, ma in realtà i colpevoli erano per lo più vecchie contadine rimaste vedove, che naturalmente non sapevano di dover notificare a loro volta alla Polizia il possesso del fucile da caccia del marito defunto.
Ora, per fare numero e scena, i miei gendarmi avevano erano soliti andare a cercarsi in Questura l’elenco dei morti dell’anno precedente, che avevano avuto in vita un’arma da fuoco regolarmente denunziata. Il successo delle indagini conseguenti, pertanto, era assicurato quasi al centro per cento!
Da sempre, condire l’attivismo con una dose di facile gloria rientra nelle arti di tutti i Poteri, per secoli la giustizia pubblica si è avvalsa, a guisa di monito sul suo potere e la sua efficienza, della figura del cattivo connotata dai segni dell’emarginazione sociale: il malfattore era necessariamente brutale nell’aspetto, depravato perché di basso ceto, feroce perché povero e, quindi, disposto a tutto e pericoloso per la serenità sociale.
C’è voluto Vistor Hugo, con i Miserabili, per denunziare l’inganno delle classi potenti sul concetto di giustizia elargito ai benpensanti. E secoli prima di lui Francois Villon, con la Ballade des Pendus, per denunziare la sommarietà e la strumentalità del giudizio convenzionale su ciò che era lecito e su ciò che non lo era.
Ogni volta, quindi, che la giustizia espone pubblicamente i propri trionfi esibendo la minuteria criminosa da lei colpita come un successo degno di pubblicità, essa assomiglia ai patetici nobili baffuti di quelle foto antiche, assisi sul tappeto di un’inerme selvaggina di passo abbattuta.
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