IL COMMENTO

La memoria e la nuova stagione dei diritti

Bisogna avere una memoria formidabile ed allenata al gusto della solidarietà per dimenticare, ma allo stesso tempo non smettere di ricordare. Una memoria così si esercita coltivandone di continuo quella comune per un’educazione ai legami sociali; soprattutto quando in un tempo come il presente, che appare non solo senza memoria, ma anche senza storia, le trasformazioni in atto danno l’illusione che si perda (e lo si possa fare senza danni) il senso vero dello stare insieme in una società. Il 1 Maggio allora è una festa ribelle. Essa non è né può essere solo statica (ri)celebrazione di un trito ricordo, allora, piuttosto una messa a punto periodica e ricorrente (una verifica di attualità) di ciò che vollero e intesero i Costituenti, allorché scrissero che la nostra è una repubblica democratica fondata sul lavoro.

Il ribellismo della Festa non consente di non accorgersi di come cambi il concetto stesso di lavoro e come sia cambiato in questo ultimo anno con ripercussioni che rimoduleranno il futuro dei diritti connessi ad esso. Non permette di non vedere che dalla prima conquista delle 8 ore- per avere almeno un briciolo di tempo ogni giorno per pensare ai propri affetti e prendersi cura di sé- essa, la Festa del lavoro, è indissolubilmente legata alla faticosa conquista dei diritti che la Costituzione disegna come mai doma, né senza azioni o avventure del futuro, per non finire, insomma, in una noia mortale, come aggiungeva Dostoevskij. D’altra parte, è l’ideale proprio della nostra Costituzione l’opposto di un tempo statico, nel quale un diritto è immutabile ad onta del contesto variabile in cui esso sia maturato, a prescindere cioè da innovazioni, modifiche, modernizzazioni, diversificazioni imposte ad esempio dalle nuove tecnologie. In buona sostanza, sarebbe fare torto al significato profondo della festa dei lavoratori se non ci interrogassimo anche sull’oggi, sui nuovi lavori, e dunque non accontentandoci del solo ricordo delle conquiste del passato.

Chiediamo se quel “fondata sul lavoro” sia ancora principio di inclusione o nuovamente l’essere lavoratore criterio di discriminazione; ed in particolare, se quel connubio democrazia\\ lavoro sia ancora inclusione nella cittadinanza, quale titolo di appartenenza a parità di condizioni alla comunità del Paese. Non sia un discorso astratto: la Festa ribelle non lo è. Basti pensare, infatti, solo a due esempi concreti: ai ryders (ed al commercio a distanza più in generale) e allo smart working. Due realtà che, implementatesi enormemente solo di recente, inducono a ritenere che da esse non si farà ritorno e quindi devono essere sottoposte a verifica; questi nuovi lavori sono coperti da adeguate garanzie? Soprattutto, sono davvero nuovi lavori o, viceversa, degli accomodamenti alla fase di emergenza sanitaria, finita la quale scompariranno; e nel loro essere contingenti rispetto alla transitorietà di un momento eccezionale, subiscono anche essi la straordinarietà della riduzione delle garanzie, così giustificando ulteriori forme di precarizzazione? La Costituzione- forte e chiaro ce lo dice Zagrebelsky- afferma che il lavoro sia elemento fondante della democrazia, non una eventualità! Certo, si aggiunge, che non esiste “tribunale” cui appellarsi per ottenere il posto di lavoro. Esiste, però, ed è questo il senso della Festa che va celebrata guardando all’oggi ed in avanti, non solo al passato, il valore del lavoro come utilità sociale, quale elemento di sicurezza, di libertà e di dignità umana, come modello di economia sociale e solidale. Dunque, nessun lavoro può o deve svolgersi offendendo la sicurezza e la dignità dei lavoratori, nemmeno durante (o, peggio, prendendo a pretesto per il futuro) l’amara realtà dello stato di salute sanitaria dell’Italia che stiamo vivendo.

Guardiamo per un attimo, e in conclusione, allo smart working, per il tramite del quale, contestualmente, si sta costruendo anche la persona elettronica del lavoratore stesso. Siamo proprio sicuri che la libertà e i diritti del lavoratore del cyberspazio- quelli che l’art. 2 della Costituzione indica come fertilizzante delle formazioni sociali- siano gli stessi delle comunità fisiche? La Festa del lavoro nacque nel 1846 ed ha percorso la Storia, sino a definire addirittura il primo articolo della nostra Costituzione e a dare al Paese il suo DNA; ma proprio per questo non può essere solo un ricordo, ma guida ribelle e refrattaria in marcia costante.