«La guardia Mimì dimenticata dallo Stato»

Manzione fu vittima delle foibe a 23 anni. Il fratello Oreste: «Caduto in servizio, merita la medaglia»

«Mio fratello è una vittima di guerra, chiedo gli sia riconosciuta la medaglia d’oro al valor militare»: a parlare è il fratello di Domenico Manzione, classe 1922, originario di Postiglione (la sua famiglia vive a Battipaglia dal 1929), una delle vittime del genocidio delle foibe. Domenico era una guardia di pubblica sicurezza alla questura di Gorizia. Il 2 maggio 1945 fu arrestato dalle truppe di Tito e deportato nelle carceri di Lubiana. Fucilato, il suo corpo fu gettato in una foiba del Carso, quella di Delicame Lesnica, in Slovenia.

Suo fratello Oreste Manzione, ferroviere in pensione, si è sempre speso per la memoria del fratello “caduto nell’adempimento del suo dovere”, scrive oggi il sito cadutipolizia.it.

Nel 2012 il Quirinale gli conferì la medaglia commemorativa per il sacrificio offerto alla patria dal fratello 23enne Domenico. Per quel sacrificio Oreste chiede, invece, il pieno riconoscimento della medaglia d’oro al valor militare (Movm) alla memoria. Perché Mimì – come lo chiamavano in famiglia – si schierò al fianco delle altre forze di polizia nell’organizzare la Resistenza e la difesa di Gorizia in attesa dell’arrivo degli Alleati. «La guardia Manzione – ricorda Oreste – fu fatta prigioniera mentre era nella caserma di via Santa Chiara a Gorizia. Era al suo posto, mantenendo fede al giuramento e al senso del dovere».

La triste storia di Domenico Manzione parte da Battipaglia nel 1940, quando per non andare soldato nella campagna di Russia, dove venivano destinati quelli nati nel 1922, su suggerimento di un professore di Postiglione, scelse di arruolarsi nel corpo della Pubblica Sicurezza. Mimì Manzione aveva studiato dalle elementari fino ad iniziare gli studi magistrali. Carriera scolastica che dovette abbandonare nel 1935 quando suo padre Pasquale, cantoniere delle Ferrovie, rimase vittima di un incidente mortale allo scalo di Battipaglia.

Lui divenne il capofamiglia. Sua madre, Antonia Manzo, trovò in lui l’appoggio portare avanti i cinque figli. Poi la partenza e l’addestramento a Caserta, il trasferimento a Genova sotto i bombardamenti e la destinazione definitiva a Gorizia. «Che l’avevano preso prigioniero lo scoprimmo tre mesi dopo, ad agosto, quando mia madre ricevette una lettera da Gorizia – spiega il fratello – A scrivere fu la fidanzata, tal Liliana Cechet, di cui non conoscevamo l’esistenza, che diede la triste notizia». Per anni la famiglia Manzione ha sperato che Mimì tornasse a casa, magari da “smemorato”. Nel 1975, invece, venne riconosciuto caduto in guerra. La guardia Domenico Manzione non è mai più ritornata a casa. Il suo corpo gettato con quelli di tanti altri italiani nelle foibe del Carso. Suo fratello ora chiede il pieno riconoscimento del valor militare, sia per lui sia per i commilitoni prigionieri di guerra in Jugoslavia nel 1945.

Massimiliano Lanzotto