La fierezza di un guerriero in due Aglianici biologici

La maggior parte della produzione vola in Brasile, Germania e Sud Africa

di Barbara Cangiano

“Lodo il vero Dio, dono allegria, allevio le preoccupazioni, rinfresco la gola, rendo lecito ciò che è illecito, ringiovanisco l’anziano, adorno i campi, con la fatica d’autunno riempio le botti, denudo i giusti e onoro le feste”. Argylos e Le Maute, i due Aglianici in purezza prodotti dall’azienda Belrisguardo, si presentano così al pubblico, con un “manifesto” particolarmente eloquente riportato sulle bottiglie di vetreria etrusca serigrafata a caldo. Il motto, in parte rubato ad una scritta in latino rinvenuta su una campana del ’400 nell’antico convento di Santa Maria delle Grazie, in parte rielaborata prendendo spunto da Orazio, Virgilio e dai Carmina Burana, è chiuso in un profilo ambivalente, che rimanda alla memoria sia quello sinuoso dei monti Alburni, che il volto del giovane e fiero condottiero che uccise il Molosso, dando origine, come vuole la leggenda, all’antico sito che è oggi Bellosguardo. Se l’idea grafica di Roberto Fusco e Anna Guercio si è rivelata vincente per le etichette (è valsa il premio al Wine festival Paestum), l’amore per la terra, l’impegno e il coraggio imprenditoriale di Romano Brancato e dei suoi soci hanno fatto il resto. L’azienda, che fin dal nome tradisce l’amore viscerale per le proprie origini, vede la luce nel 2001 come società agricola. Bisogna aspettare altri otto anni per celebrare il patto sinergico tra Romano, suo fratello Vito, la cugina venezuelana Rosanna, Maria Antonietta Pepe e Roberto Fusco: un’avventura nata dalla passione comune per il vino e dal desiderio di riportare all’antico splendore un territorio vocato per la viticoltura. «Da sempre si dice che per i matrimoni o le grandi occasioni la cosa migliore da farsi è andare a prendere il vino a “o sguardo” e dai documenti recuperati negli archivi delle antiche famiglie nobiliari, emerge che già negli anni Venti era fiorente il commercio di vino internazionale, addirittura con San Paolo», racconta Romano Brancato. In casa il vino si faceva già, anche se per uso domestico. Poi venne l’incontro con Antonio Caggiano di Taurasi e la voglia fortissima di riscoprire i vitigni autoctoni del territorio ha dato la spinta per mettere in piedi un’azienda che oggi esporta l’85 per cento della propria produzione in Brasile, Germania, Svizzera e perfino in Sud Africa. La prima annata (2009) sforna tremila bottiglie che il mercato praticamente risucchia. La seconda (2010) non è da meno: Argylos (omaggio ai terreni argillosi dei vigneti) e Le Maute (dal toponimo della zona di produzione) conquistano i palati d’oltreoceano, il primo grazie ad un bouquet fruttato, il secondo per una maggiore intensità dovuta all’affinamento in legno ed all’elevazione in bottiglia. Il futuro passa per la Moscatella paesana e la Troccanosa. Non cercateli nei manuali, quanto piuttosto nel background memoriale di una terra fiera e contadina: si tratta di due antichi vitigni che rappresentano un genotipo unico, così come hanno attestato anche gli studi specifici fatti dall’Università di Milano. Il gruppo di Brancato è riuscito a recuperare qualche varietà superstite e «quest’anno, all’inizio di maggio, faremo un pianto sperimentale di 550 piante su un terreno di 1300 metri quadri». La strada per la commercializzazione è ancora lunga, ma nel frattempo l’azienda è al lavoro per edificare la nuova cantina, che sostituirà quella in località Sant’Antuono dove attualmente vengono ospitate degustazioni e wine tour all’insegna del rispetto dell’ambiente: la produzione è rigorosamente bio (oltre che tra i primi cento amici del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano) e l’annata 2011 che sarà imbottigliata a giugno, potrà fregiarsi della fogliolina verde della Comunità europea. I sogni nel cassetto sono due: «Ampliare l’area destinata alle viti, arrivando ad otto ettari vitati sui complessivi quattordici che costituiscono il cuore della nostra azienda - spiega Brancato - e radicarci maggiormente sul mercato salernitano».

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