«La colletta per i carcerati è estorsione» 

Con questa motivazione la Corte di Cassazione ha confermato la decisione del Tribunale dal Riesame per uno scafatese

Chiedere soldi per i carcerati non è un atto di elemosina ma un’estorsione aggravata dal metodo mafioso. A deciderlo è stata la Corte di Cassazione, che per questo motivo ha ritenuto valido l’impianto accusatorio del Tribunale del Riesame di Salerno e ha confermato il carcere per uno scafatese vicino ai clan della zona. La sentenza della seconda sezione penale (presidente Piercamillo Davigo, relatore Lucia Aielli) è destinata a fare giurisprudenza perché, per la prima volta, un preciso concetto viene equiparato a un reato previsto dal codice penale.
Dunque, raccogliere “un contributo per Natale per i carcerati” per la Suprema Corte appare contenere un’implicita minaccia perché evocativa dell’appartenenza ad un gruppo criminale organizzato, ma anche per le modalità di successiva estrinsecazione dell’intimidazione, posto che l’atto che era stato compiuto, già secondo il giudizio dei magistrati salernitani, richiamava alla mente del commerciante vessato, la forza del vincolo associativo. Dunque, la causale esplicitata - i soldi cercati per i carcerati - insieme all’intimidazione di un colpo di pistola fatto esplodere all’indirizzo della struttura del negoziante il giorno prima della richiesta dell’uomo, porta per la Cassazione a un’estorsione in piena regola aggravata dal metodo mafioso.
Smontata, pertanto, la tesi del legale dello scafatese, che aveva parlato di errore da parte di Gip e Riesame per aver correlato due episodi diversi tra loro. Il primo è la richiesta di denaro avanzata dall’uomo finito in carcere nei confronti del commerciante scafatese e l’altro riguarda l’esplosione di un colpo di arma da fuoco contro la saracinesca del negozio di proprietà del negoziante. Episodi del tutto indipendenti secondo la difesa, atteso che la rilevata presenza sul posto, il giorno successivo al danneggiamento, dell’esponente dei clan sarebbe stato puramente casuale e né, in ogni caso, si sarebbe potuta ravvisare la circostanza dell’estorsione aggravata, dato che la richiesta di denaro avanzata mascherava una mera questua per l’avvocato difensore.
Il ricorso, però, è stato ritenuto “inammissibile perché generico e manifestamente infondato” , in quanto, secondo gli ermellini, è fondato solo se denuncia la violazione di specifiche norme di legge o la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, ma non quando propone censure che riguardano la ricostruzione dei fatti o che si risolvono in una diversa valutazione degli elementi esaminati dai giudici del merito. Proprio per questo, infatti, la Cassazione ha ritenuto giustificata la connessione temporale di due elementi: gli spari alla saracinesca del negozio e la richiesta di denaro al commerciante. Da qui, la decisione di dichiarare inammissibile il ricorso e condannare lo scafatese al pagamento delle spese processuali, oltre a 2mila euro da versare nella Cassa delle Ammende.
Domenico Gramazio
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