Il caso

La Chiesa campana apre ai divorziati: «Ma no a scorciatoie»

Il documento della Conferenza episcopale riunita a Salerno. «Evitiamo divisioni tra sacerdoti lassisti e rigoristi»

SALERNO. Nessuna corsa in solitaria, ma risposte comuni per andare incontro alle esigenze dei fedeli, in particolare alle richieste di quanti vivono situazioni di fragilità. I vescovi campani intervengono sul tema dell’accesso ai sacramenti o all’idoneità di padrino per quanti hanno vivono criticità, ma anche su corsi di preparazione al matrimonio e assistenza alle famiglie. Insomma, linee guida per l’impostazione della pastorale familiare, alla luce della “Amoris laetitia” di papa Francesco. L’esortazione apostolica è stata analizzata a Salerno, durante la riunione della Conferenza episcopale campana presieduta dal cardinale Crescenzio Sepe. Dopo il discernimento e il confronto, i presuli hanno deciso di inviare una lettera a tutti i sacerdoti della regione. «Ringraziamo papa Francesco per questo dono fatto alla Chiesa: il documento offre una grande opportunità. Anche noi vescovi siamo coinvolti in un cammino di discernimento e ci interroghiamo sulla ricaduta del documento nel vostro ministero. Il documento – si legge nella nota – non dà “ricette” ma apre percorsi da intraprendere e possibilità da scrutare. Esso richiede una conversione della nostra pastorale, che consiste nel dare maggiore centralità alla persona concreta e nell’investire tempo e competenze per il suo ascolto e accompagnamento».

I vescovi invitano a non avere fretta: «Vi invitiamo a non procedere ad una lettura affrettata e parziale del documento, ma ad approfondirlo, preferibilmente insieme con gruppi di famiglie, con spirito sinodale. Inoltre, è necessario un percorso serio di accompagnamento delle persone, senza sconti né scorciatoie. Siamo consapevoli che dobbiamo apprendere tutti la difficile “arte dell’accompagnamento e del discernimento”, per la quale dobbiamo riconoscere che c’è una carenza di formazione. Infine, “siamo chiamati a formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle”». Tra i rischi c’è quello di «procedere in ordine sparso o in modo frammentario, con l’inevitabile conseguenza di mettere in atto pratiche difformi che inducano a separare i sacerdoti, dividendoli in cosiddetti “lassisti” e “rigoristi”, creando disorientamento tra i fedeli».

Durante la due giorni salernitana, i vescovi hanno anche fatto un’auto analisi sull’impostazione della pastorale familiare nelle diocesi: «C’è una preparazione remota al matrimonio? Come mettere in atto nelle nostre diocesi l’accompagnamento di coloro la cui relazione matrimoniale si è infranta? Le persone che vivono le situazioni di fragilità sono disponibili a fare un cammino di discernimento oppure vogliono tutto e subito? Infine, come discernere quali forme di esclusione attualmente praticate (incarico di padrino, di catechista, di lettore) possano essere superate?». Interrogativi che richiamano l’attenzione di tantissime persone, che per molto tempo sono rimaste senza risposte.

«Come vescovi – è la loro chiosa – ci impegniamo a continuare la riflessione e ad offrire in tempi congrui alcune linee comuni, evitando che esse diventino una sorta di “prontuario” ma siano orientamenti di un cammino concreto. È certamente opportuno indicare dei criteri ma ogni pastore non può evitare la fatica del discernimento».

Positivo il commento di don Silvio Longobardi, sacerdote esperto di pastorale familiare e fondatore del movimento “Fraternità di Emmaus”, la cui spiritualità è incentrata sulla famiglia. «La lettera era più che necessaria. Bene hanno fatto i vescovi a scrivere una lettera comune. Un segno di comunione di cui abbiamo particolare bisogno in un tempo in cui troppi vogliono correre da soli. Bene hanno fatto a parlare per porre un freno agli incursori di professione, a quelli che sono sempre pronti a correre avanti. La lettera non dà indicazioni di merito ma chiede di aprire un cantiere di lavoro, una comune riflessione, un discernimento che mette in gioco tutta la comunità dei battezzati». Nessuna risposta secca ai quesiti, ma l’invito a ragionare sui problemi nella loro complessità. «La lettera – prosegue don Longobardi – non poteva e non doveva affrontare l’ampia problematica della famiglia ma poteva e doveva suggerire un chiaro orientamento pastorale. Ed è un pregio di questi tempi in cui la confusione sembra far da padrona. Attendiamo con fiducia i prossimi passi. Da fare insieme».

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