La Cassazione rimanda in carcere gli scafisti liberati, ma di loro non c’è più traccia

Non dovevano essere scarcerati i due presunti scafisti che un anno fa traghettarono verso l’Italia 845 migranti. Lo ha deciso la Corte di Cassazione, annullando l’ordinanza con cui lo scorso ottobre...

Non dovevano essere scarcerati i due presunti scafisti che un anno fa traghettarono verso l’Italia 845 migranti. Lo ha deciso la Corte di Cassazione, annullando l’ordinanza con cui lo scorso ottobre il Tribunale del Riesame di Salerno li aveva rimessi in libertà e accogliendo l’appello dei sostituti procuratori Elena Guarino e Maria Carmela Polito, che sui due stranieri continuano a indagare anche in merito a simpatie per posizioni islamiche estremiste, rivelate da alcuni filmati trovati sui loro telefoni cellulari.
Era l’1 settembre del 2016 quando la fregata spagnola Reina Sofia fece sbarcare nel porto di Salerno oltre mille extracomunitari, soccorsi in mare mentre cercavano di raggiungere la Sicilia. Tra loro c’erano gli 845 che secondo gli inquirenti erano stati imbarcati e sorvegliati da due pakistani identificati per Neem Akram e Husain Toqeer, che dai documenti d’identità risultavano nati nello stesso giorno ed utilizzavano entrambi degli alias. A indicarli come gli scafisti furono le testimonianze di due connazionali, ma i giudici del Riesame ritennero che quelle deposizioni non fossero utilizzabili, perché rese da persone che erano loro stesse responsabili di un reato (quello di immigrazione clandestina) e che per questo dovevano essere sentite alla presenza dei difensori. Né bastarono a farli restare in carcere le carte di credito e la cospicua somma in dollari che avevano con loro. Con la sentenza che accoglie l’appello della Procura, la Cassazione chiarisce ora la controversa questione sull’utilizzabilità delle testimonianze dei migranti, che a Salerno ha già dato luogo a interpretazioni discordanti. La Corte precisa che «essendo stati i migranti soccorsi al di fuori delle acque territoriali, gli stessi non avevano commesso alcun reato e il loro successivo ingresso nel territorio dello Stato non poteva essere considerato clandestino»; ciò perché il reato di ingresso illegale è ipotesi contravvenzionale, non punibile quando si ferma allo stadio di tentativo. Insomma, poiché sono stati soccorsi in mare prima che entrassero in acque italiane, gli 845 migranti non hanno commesso alcun reato e le loro dichiarazioni possono essere raccolte come quelle di semplici testi.
Sul caso dei due pakistani il Riesame dovrà ora pronunciarsi di nuovo, adeguandosi alle indicazioni della Cassazione, ma già adesso pare che degli indagati si siano perse le tracce. Dopo la scarcerazione il difensore Cecchino Cacciatore chiese che gli fosse riconosciuto lo status di rifugiato politico, e i due sono stati trasferiti a Caltanissetta in un centro di accoglienza in attesa che la pratica fosse esaminata. Da lì, però, non se ne sono avute più notizie, e un nuovo ordine di carcerazione potrebbe trovarli irreperibili. (c.d.m.)