IL PERSONAGGIO

L’operaio-poeta della Maccaferri:«Nascondevo i versi per vergogna»

Giovanni Mitrano scrisse i primi versi in onore della figlia quando si è sposata

Nella prefazione al suo libro "Tra le maglie della poesia", il direttore industriale della Maccaferri, racconta che alcuni anni fa, passeggiando per Bellizzi è stato colpito alla testa da una tegola e da lì è nata la sua vena poetica. Signor Mitrano, conferma quanto accaduto?
«Allora, mettiamo ordine nei fatti. Innanzitutto mi trovavo a Battipaglia e non a Bellizzi. In testa mi è caduta una lastra di vetro. Era il 23 novembre 2001. Ma non è stato quell’episodio a far scattare la vena poetica, che invece è arrivata un paio d’anni dopo. La prima poesia infatti, l’ho scritta nel 2003".
Una passione che è esplosa così, allora, da un momento all’altro.
«Sì. è come se ad un tratto tutto quello che avevo dentro, aveva bisogno di essere tirato fuori, scrivere mi ha aiutato a farlo. Io non sono un professionista, non sto ore ed ore a fissare il muro ed aspettare che arrivi l’ispirazione. Le mie poesie sono semplicemente il frutto dei miei pensieri».
Dove le scrive?
«Dove capita, la maggior parte in fabbrica, mentre lavoro. Anche qualche giorno fa ne ho scritta una».
Come è nata l’idea di pubblicare una raccolta di poesie?
«Qualche mese fa dallo stabilimento hanno portato via un macchinario. In quell’occasione arrivò a Bellizzi il direttore industriale, Gian Andrea Bellingeri, al quale dissi: "Ingegnere, se ci portate il macchinario nuovo, io vi scrivo una poesia." E lui, che aveva saputo di questa mia passione ed era anch’egli appassionato di poesie, mi rispose: "Si, mandamela. Anzi mandamene più di una, che vediamo cosa possiamo fare." Ed ha mantenuto la promessa, facendo pubblicare il libro dall’azienda».
Quando le hanno pubblicato il libro, quale è stata la reazione nella sua famiglia? E soprattutto cosa hanno detto i suoi familiari quando ha iniziato a scrivere?
«Le prime poesie che ho scritto le tenevo nascoste perché mi vergognavo. La prima l’ho dedicata alla mia figlia più grande, in occasione del suo matrimonio. Era il 2003. è stata lei la prima a saperlo. Ed ancora oggi è lei che ogni tanto le guarda e me le corregge. D’altronde, ripeto, io sono un operaio, non ho tutta questa cultura».
Eppure ha giá vinto un concorso?
«Sì, con la poesia "L’illusione dei beni." è stata una grande soddisfazione. Quando mi hanno chiamato per comunicarmi che avevo vinto, stentavo a crederci».
In "Ed io pensavo" lei si chiede "dov’è finito il governo amico" e "dove sono i compagni di una volta?". Si sente tradito e deluso dalla politica portata avanti dalla sinistra? Eppure lei e pochi altri operai, votano ancora a sinistra. Al nord ormai hanno la tessera della Cgil in tasca e votano la Lega.
«Non posso dire di sentirmi tradito. Piuttosto sono deluso. Deluso da quelle persone che ora sono all’opposizione, che più che centrosinistra ricordano tanto la vecchia Dc. A noi operai ha fatto più male il "governo amico" che non il governo Berlusconi».
Nelle ultime elezioni politiche com’è stato l’orientamento in fabbrica?
«La Maccaferri è, storicamente, di destra. Come anche il Sud e l’Italia. Ormai basta parlar male dei comunisti e dei sindacati: così tutti pensano di aver risolto i problemi. Ma così non è. Alla fine siamo sempre noi operai a pagare le conseguenze peggiori».
Osservando gli attuali partiti presenti in Parlamento, da chi si sente rappresentato?
«Da nessuno. E mi pento di essere andato alle urne. Bisognerebbe riprendere in mano il potere operaio, anche se non ci credo poi tanto più. E i giovani non sono in grado di fare la "rivoluzione". Sono ancora molti quelli che non hanno un minimo di cultura politica. Se non conoscono il nome del presidente del Consiglio o non sanno com’è composto il Parlamento, come possono combatterli?»
Neanche i sindacati la rappresentano?
«Non posso dire che i sindacati non mi rappresentano o non mi tutelano come lavoratore, ma anche loro hanno commesso degli errori. In alcuni casi ci hanno anche tradito, come per l’accordo sul cuneo fiscale, che fu firmato in piena estate, quando le fabbriche erano ferme. Purtroppo restano la nostra unica difesa. Anche se le industrie continuano a portarci dove vogliono loro. Sono saltati tutti gli equilibri. L’operaio continua a subire, purtroppo questa è la realtá».
Cambiamo argomento. Nelle sue poesie parla delle morti bianche. Cosa pensa al riguardo? «E’ il male del nostro secolo. Non si può essere indifferenti. Ormai ne muore uno al giorno, non riusciamo più a tenere il conto. E la maggior parte di loro sono anche precari, come nel caso degli operai morti nella cisterna a Molfetta. Bisogna fare presto e invertire la rotta, altrimenti ce ne saranno altri di decessi».
Una delle ultime poesie che ha scritto l’ha dedicata alle due donne morte nel rogo della fabbrica di Montesano sulla Marcellana. Sul tema del precariato, lei scrive "?insieme alla speranza/ e gli anni che son passati/ è diventato vecchio/ e con i contributi che si ritrova/ sará precario pure da pensionato". Sono versi molto amari.
«Purtroppo è la realtá. Da anni mi batto in fabbrica affinché i giovani che entrano possano trovare una stabilitá economica, anche a costo di doverci sacrificare noi operai più anziani. Sono il nostro futuro e vanno tutelati. ma mi accorgo, purtroppo, le cose per gli operai, parlo in termini generali, stanno peggiorando».
Mattia A. Carpinelli